Sono tempi duri per le aziende che evadono. Con due sentenze in pochissimi giorni, la Corte di Cassazione ha infatti legittimato, in caso di evasione IVA, sia il sequestro preventivo per equivalente sull’intero capitale sociale, sia l’accertamento induttivo – non limitato quindi alle fatture emesse – dell’imponibile.
Due sentenze, queste, a prima vista severe ma certamente non casuali in un paese in cui l’evasione fiscale è prassi sistematica per tantissime aziende.
Ma andiamo con ordine. La prima “stangata” arriva il 16 giugno quando, con la sentenza numero 24165, la Suprema corte respinge il ricorso dell’amministratore di fatto di un’azienda cui erano stati confiscati tutti i beni e l’intero capitale sociale perché aveva chiesto una indebita compensazione IVA per crediti inesistenti, non versando imposte per un ammontare pari a un milione di euro.
Oltre a questo, la terza sezione penale ha chiarito nella medesima sede che sono soggetti a confisca per equivalente anche gli immobili e l’auto del commercialista che ha ideato l’indebita compensazione IVA per conto dell’impresa della quale è consulente fiscale.
Cinque giorni dopo, confermando una condanna per evasione nei confronti di un amministratore di fatto (sentenza n. 24811), la Corte ha aggiunto il secondo tassello: la quota dell’imposta non versata può essere calcolata non soltanto sulla base delle fatture emesse, ma anche sulla base dell’accertamento per metodo induttivo dell’imponibile. Se infatti l’importo dell’Iva evasa fosse determinabile solo sulla base delle fatture, basterebbe eliminare la documentazione per distruggere il corpo dell’eventuale reato.
L’utilizzo del metodo induttivo, secondo la Corte, è ammissibile peraltro sia a evasione compiuta sia nel corso delle indagini: l’accertamento per induzione compiuto dagli uffici finanziari può rappresentare infatti anche “un valido elemento di indagine per stabilire, in sede penale, se vi sia stata evasione”.
Confermando con queste sentenze due deterrenti come la confisca dei beni e del capitale sociale e l'accertamento induttivo, oltre al riconoscimento della responsabilità degli amministratori di fatto, la Corte ha così voluto dare un segnale forte in termini di evasione: chi sbaglia deve (letteralmente) pagare, senza se e senza ma e con lui anche quei professionisti o dipendenti che, pur non avendo responsabilità oggettive o soggettive in ambito societario, concorrono all'evasione fiscale.