La sottrazione, anche in copia, di documenti aziendali costituisce violazione dei doveri di lealtà e correttezza imposti al lavoratore. Sulla scorta di tale indicazione, la giurisprudenza ha tipizzato alcuni ipotesi di licenziamento per giusta causa.
E’ giusta causa di licenziamento, ad esempio, rivelare una password, così consentendo l’uso improprio degli strumenti informatici ad opera di terzi: nel caso di specie, il lavoratore ha diffuso all’esterno dati idonei a consentire a terzi di accedere alle banche dati, alle reti informatiche aziendali ed al sistema informativo complessivo e ad una massa di informazioni attinenti l’attività aziendale, destinati a restare riservati (Cass. 13 settembre 2006, n. 19554).
Allo stesso modo è giusta causa di licenziamento l’accesso improprio ad una cartella di documenti protetta da password e username, anche qualora si trovi nello spazio comune della rete informatica aziendale (Cass. 9 gennaio 2007, n. 153).
A tal fine non rileva l’intento del lavoratore di fare della documentazione un uso meramente processuale. Infatti il contrasto tra il diritto del dipendente alla tutela giurisdizionale, esercitato con la produzione di quei documenti, e il diritto del datore di lavoro alla riservatezza non può essere risolto unilateralmente dal lavoratore, ma deve essere valutato in sede giudiziaria, nella quale il datore di lavoro, a fronte dell’eventuale ordine di ispezione o di esibizione, può resistere rimanendo esposto alle conseguenze che il giudici può trarre da tale suo comportamento.
Si segnala, tuttavia, che la giurisprudenza più recente ritiene invece che il licenziamento sia una sanzione sproporzionata quando il documento prodotto in giudizio non è stato sottratto ma solo fotocopiato e non sono comunque riservati (Cass. n. 2 febbraio 2000, n. 1144).