Lavoratore in malattia: quando si può licenziare?

di Roberto Grementieri

Pubblicato 7 Settembre 2010
Aggiornato 12 Febbraio 2018 20:45

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Come noto, la condotta del lavoratore tale da determinare la lesione del vincolo fiduciario può costituire giusta causa o giustificato motivo soggettivo di licenziamento.
In materia di comportamenti connessi con la malattia del dipendente, la giurisprudenza ha elaborato diverse ipotesi che acconsentano all’imprenditore il licenziamento del lavoratore.
Vediamone alcune.

Attività  incompatibile con la malattia.
E’ giusta causa di licenziamento, secondo l’orientamente giurisprudenziale prevalente, esercitare attività  lavorativa incompatibile con lo stato di malattia, qualora l’attività  del malato ritardi la guarigione o attesti la simulazione della malattia (Cass. 21 aprile 2009, n. 9474).
E’ il caso, ad esempio, di un aiuto medico, affetto da coxo-artrosi dell’anca, che durante l’assenza dal lavoro per malattia aveva più volte giudato una motocicletta di grossa cilindrata, si era recato in spiaggia e aveva prestato una seconda attività  lavorativa; oppure quelllo del lavoratore affetto da distorsione al ginocchio, sorpreso a lavorare con mansioni di carico e scarico merci e servizio ai tavoli di un circolo ricreativo (Cass. 1 luglio 2005, n. 14046).

Omessa comunicazione del luogo di reperebilità  durante la malattia.
E’ stata ritenuta giusta causa di licenziamento, tenuto conto delle circostanze del caso concreto e dei precedenti del lavoratore, l’omessa comunicazione del luogo di reperibilità  durante la malattia, in quanto ciò rende impossibile il controllo del datore di lavoro sulla giustificabilità  dell’assenza (Cass. 9 ottobre 1998, n. 10036).

Assenza alla visita medica di controllo.
E’ giustificata causa di recesso l’assenza ingiustificata alla visita medica di controllo del lavoratore assente per malattia, già  sanzionato con precedenti provvedimenti disciplinari (Cass. 27 aprile 1996, n. 3915).

Rifiuto di riprendere il lavoro.
E’ giusta causa di recesso il rifiuto di riprendere il lavoro da parte del lavoratore che, non accettando l’esito della visita di controllo ritenga di potersi esimere dalla prestazione in attesa di una nuova visita (Cass. 1 febbraio 1999, n. 844).