Cassazione, il dirigente non può ingiuriare

di Stefano Gorla

19 Ottobre 2011 15:30

logo PMI+ logo PMI+
Una sentenza della Cassazione su una frase offensiva di un preside nei confronti di un docente durante un consiglio di istituto: è ingiuria.

“Lei dice solo str…”. Pronunciare questa frase, completa, sul luogo di lavoro, come ha fatto un preside rivolgendosi a un docente, è un reato. Per la precisione, è un’ingiuria. Lo ha stabilito la Corte di Cassazione, accogliendo il ricorso del dipendente contro la sentenza con cui, nel 2007, il tribunale di Enna aveva assolto lo stesso dirigente scolastico. Ripercorriamo la vicenda.

Il Tribunale di Enna, in data 21.6.2007, pronunciava sentenza di assoluzione nei confronti di un Dirigente Scolastico per insussistenza del fatto dall’imputazione del reato di cui all’art.594 cod. pen., contestato come commesso l’11.6.2002 nel corso di una riunione del consiglio di istituto. Durante la quale l’imputato, ovvero il preside, aveva rivolto a un docente la frase «lei dice solo stronzate».

L’altro ieri, 17 ottobre 2011, la Corte di Cassazione con sentenza n.37380, ha accolto l’impugnazione, ritenendo che il giudizio sulla lesione dei beni dell’onore e del decoro della persona offesa sia da porre in relazione all’ambiente in cui l’offesa viene proferita piuttosto che al suo contenuto.

L’art. 594 del Codice Penale prevede il reato di ingiuria, perseguibile a querela di parte, stabilendo che: «chiunque offende l’onore o il decoro di una persona presente è punito con la reclusione fino a sei mesi o con la multa fino a lire un milione. Alla stessa pena soggiace chi commette il fatto mediante comunicazione telegrafica o telefonica, o con scritti o disegni, diretti alla persona offesa. La pena è della reclusione fino a un anno o della multa fino a lire due milioni se l’offesa consiste nell’attribuzione di un fatto determinato. Le pene sono aumentate qualora l’offesa sia commessa in presenza di più persone».

Il Tribunale aveva assolto il Dirigente in quanto l’avverbio “solo” anteposto alla parola volgare non compariva nel verbale del Consiglio di Istituto e dal racconto della persona offesa, e pertanto la frase che ne derivava andava circoscritta a quanto il docente offeso aveva argomentato nella specifica circostanza.

Ma la Suprema Corte ha ritenuto che «la collocazione dell’episodio in una riunione di docenti di un istituto scolastico, lo svolgimento dello stesso in presenza di colleghi quotidianamente impegnati in un’attività professionale comune a quella del soggetto passivo e la provenienza dell’espressione contestata da un immediato superiore di quest’ultimo sono elementi sicuramente rilevanti nel definire l’incidenza lesiva della condotta, e la cui portata doveva pertanto essere esaminata ai fini di un compiuto giudizio sull’esistenza o meno di un pregiudizio per l’onore e il decoro della parte offesa nel proprio ambiente lavorativo ed umano».

A queto punto la sentenza è rinviata per nuovo esame alla Corte d’Appello di Caltanissetta.