Dopo la manovra bis, per un ente pubblico rischia di essere sempre più oneroso gestire in proprio le attività e i servizi pubblici locali. Viceversa, diventa più conveniente affidarli all’esterno. Sulla materia è intervenuto il comma 13 dell’articolo 4 della Manovra di Ferrogosto (invariato anche dopo la riformulazione del decreto prevsita dal maxiemendamento approvato dal Senato), affermando che la strada dell’affidamento in house dei servizi pubblici locali è percorribile come soluzione derogatoria rispetto alla gara o alla costituzione delle società miste solo se il valore economico del servizio è pari o inferiore a 900mila euro.
Per gestione in house si intende l’esecuzione da parte della Pubblica Amministrazione delle attività di loro competenza mediante i propri organismi o risorse, senza dover ricorrere, pertanto, al mercato per procurarsi detto servizio, attraverso, ad esempio, la via dell’appalto.
Le società in house sono quelle in cui il capitale è interamente pubblico, sulle quali l’ente o gli enti pubblici titolari esercitano un controllo analogo a quello che hanno sui propri servizi e che realizzano la parte più importante delle loro attività con l’ente o con gli enti che le controllano.
La norma, in sostanza, non fa altro che reintrodurre la (parziale) privatizzazione dei servizi pubblici, prevista dal Governo e cancellata dal referendum sull’acqua pubblica.
Le società in house affidatarie dirette della gestione di servizi pubblici locali sono inoltre assoggettate alla normativa in materia di contratti pubblici, all’adozione, mediante propri provvedimenti di criteri e modalità in materia di reclutamento e di personale e conferimento degli incarichi, nonchè al patto di stabilità interno, meccanismo questo che prevede dei limiti alla spesa pubblica degli enti locali per tenere sotto controllo l’indebitamento netto.