Il dato certo, dopo l’approvazione del Decreto Romani da parte del Consiglio dei Ministri, è che “la tecnologia è più veloce della legge”. I governi si trovano sempre più spesso nell’imbarazzante posizione di chi è costretto a rincorrere gli eventi.
Le tecniche normative diventano assolutamente inadeguate di fronte ad una materia come Internet, che è in eterno divenire. Sul web, intanto, i pareri degli esperti sul testo del Decreto Romani si stanno pian piano dividendo.
Se, da un lato c’è chi, come il deputato Roberto Cassinelli, non si era scomposto neppure di fronte alla prima stesura del Decreto, ritenendola non lesiva della libertà della rete (di cui si dichiara strenuo difensore), dall’altro il presidente dell’Istituto per le Politiche dell’Innovazione Guido Scorza, come molti altri esperti di Informatica e diritto, continua a trovare ambiguità nella definizione di “servizio media audiovisivo”, data nel testo.
Altri aspetti poco chiari, sollevati da alcuni giornalisti esperti del settore, riguardano il significato di “siti privati” e il metodo per stabilire se un sito faccia o no “concorrenza con la radiodiffusione televisiva”.
Anche i cosiddetti UGC (User generated content), “contenuti audiovisivi generati da utenti”, che vengono aggregati da portali video come YouTube, sembrerebbero far escludere dalla casistica il noto sito di proprietà di Google, ma è pur vero, fa notare il collaboratore dell’Espresso Alessandro Longo, che YouTube non ospita “esclusivamente” UGC.
Occorrerà insomma attendere le prime applicazioni del Decreto per capire il tipo di distinzione che il governo intende fare nel dare attuazione in Italia alla Direttiva UE 2007/65/CE meglio nota come Audiovisual Media Services (AVMS).