PA più libera con il copyleft

di Stefano Gorla

11 Marzo 2008 09:00

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Il software open source non è tutto uguale: le licenze che gestiscono i prodotti "liberi" sono molteplici ma permettono tutte di conseguire numerosi vantaggi, come dimostrano esempi in tutto il mondo

La GNU/LGPL (Lesser GPL). Differisce dalla precedente solo sul punto che riguarda la integrazione in software proprietario. Infatti un componente rilasciato con licenza LGPL può essere utilizzato in software “Closed”, questo per favorire la distribuzione delle librerie anche dalle software house.

BSD (Berkeley Software Distribution). Questa licenza è più liberale delle prime due poichè permette la distribuzione del codice o solo dei sorgenti, o entrambi, ed è richiesta esclusivamente una nota del copyright, senza l’obbligo di includere una copia della licenza. Inoltre scompare il copyleft : il programma può essere incluso anche all’interno di software proprietari.

In ogni caso la validità giuridica di una licenza è soggetta alle legislazioni nazionali nel caso di violazioni. In Europa si è discusso a lungo se al software fosse applicabile il regime del brevetto o quello del diritto d’autore.

Alla fine degli anni ’80 è prevalsa a livello europeo la tesi del diritto d’autore ed è stata quindi emanata la direttiva 91/250/CEE che è stata attuata in Italia con il DLgs n. 518/1992, che ha modificato la legge sul diritto di autore con l’inserimento delle disposizioni relative al software. Un secondo allargamento del campo di applicazione della legge è stato compiuto con il DLgs 518/99, che ha introdotto la protezione delle banche dati in attuazione della direttiva 96/9/CE.

Se il software fosse considerato un prodotto industriale (quindi soggetto alla protezione brevettuale, invece che a quella del diritto d’autore), dovrebbe cambiare anche il regime di tutela degli utilizzatori: per esempio, il produttore dovrebbe fornire una garanzia di due anni, rispondere dei danni provocati da software malfunzionanti e assicurare la disponibilità dei “ricambi” per cinque anni dopo la cessazione della produzione.

Il 6 luglio 2006 il Parlamento Europeo ha respinto la proposta di Direttiva (Computer-Implemented Inventions directive) della Commissione Europea volta ad introdurre nell’Unione la brevettabilità del software. La decisione ha segnato la sconfitta di major dell’informatica e delle tlc come Microsoft, Sap e Nokia e la vittoria di giganti come Sun e di primi attori del mondo Open Source come Red Hat.

Tuttavia i veri vincitori sono i cittadini europei: se si istituiscono o si mantengono divieti alla divulgazione dei dati scientifici o allo studio di software per l’interoperabilità tra sistemi, la realizzazione della democratizzazione delle ICT sarà alquanto ardua. Ciò infatti non può che penalizzare i cittadini, costretti a subire limitazioni nella scelta dei programmi, a vantaggio dei grandi produttori di software. Ma anche la PA e le aziende non possono che essere danneggiate, in quanto vincolate a scelte tecnologiche che non creano ricchezza in termini di competenze e risorse economiche.