Il commercialista risponde del danno causato per “condono mancato”, nel caso in cui con la sua condotta professionale causi una perdita di chance per il suo cliente, comprovabile ed economicamente quantificabile: lo stabilisce la Corte di Cassazione con sentenza 11147/2015. Il caso riguardava il ricorso di un contribuente contro il suo commercialista, che non lo aveva adeguatamente assistito in una vertenza con l’Agenzia delle Entrate, facendogli perdere la possibilità di aderire a un condono e non informandolo della possibilità di ricorrere in Cassazione contro una sentenza sfavorevole.
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Il caso
Il commercialista aveva assistito il cliente in un ricorso contro il Fisco relativo a un maggior imponibile contestato. Dopo aver vinto la causa di primo grado, tuttavia, il professionista non aveva prospettato al contribuente la possibilità di accedere alla sanatoria fiscale prevista dalla legge 413/91, che avrebbe risolto la questione con un modesto onere economico. Successivamente al primo grado (e al condono mancato), il giudizio di secondo grado si era concluso sfavorevolmente per il cliente, non consigliato della possibilità di ricorso in Cassazione. Conclusione: diventato definitivo il giudizio di secondo grado, il contribuente ha dovuto avvalersi di un altro condono, previsto dalla legge 289/2002, sborsando oltre 64mila euro.
La sentenza
E’ vero che il commercialista non avrebbe potuto difendere il cliente davanti alla Cassazione (come argomentato dal professionista), ma avrebbe dovuto informarlo della possibilità di presentare il ricorso. La Cassazione ha infatti stabilito che il commercialista non ha portato avanti l’incarico ricevuto
«con diligenza, provando di aver reso edotto il cliente sia delle possibilità di aderire al condono, sia della possibilità di impugnare la decisione sfavorevole della commissione tributaria di secondo grado».
Il professionista è stato quindi condannato al risarcimento dei danni subiti dal contribuente, con rivalutazione e interessi. La sentenza conferma un orientamento già espresso dalla stessa Cassazione, con sentenze del 2010 e del 2013, in base a cui:
«in materia di contratto d’opera intellettuale, ove anche risulti provato l’inadempimento del professionista alla propria obbligazione, per negligente svolgimento della prestazione, il danno derivante da eventuali omissioni deve ritenersi sussistente solo qualora, sulla scorta di criteri probabilistici, si accerti che senza quella omissione il risultato sarebbe stato conseguito».
Circostanze che, evidentemente, sussistono in questo caso, prima a causa del condono mancato e poi per il mancato ricorso in Cassazione.