Da qualche anno si discute della tassazione dell’economia digitale per l’adeguamento dei sistemi fiscali al mondo del web. Per rispondere alle esigenze di digitalizzazione della nostra economia si sta pensando di introdurre una cosiddetta “bit tax”, ovvero un’imposta sulla quantità di dati trasmessi e ricevuti via internet che dovrà essere versata dai soggetti che utilizzano la rete per fare business, dunque dalle imprese.
=> Tasse pubblicità online: da Web arriva la Equity Tax
Importo bit tax
L’importo della tassa sulle trasmissioni digitali di informazioni verrà calcolato in maniera proporzionale al numero di dei byte utilizzati, con l’applicazione di aliquote differenti a seconda della dimensione o del fatturato del contribuente.
Bit tax
Perlomeno questa è la proposta avanzata da Franco Gallo, ex presidente della Consulta e attuale capo della Commissione che sta elaborando i decreti attuativi della Delega fiscale, durante un’audizione alla Commissione Finanze della Camera nell’ambito di un’indagine conoscitiva sulla fiscalità digitale. In realtà si tratta di una proposta avanzata nel 1995 da un professore americano e mai realizzata, ora ripresa da Gallo che spiega:
«La bit tax è un’imposta facile da gestire e da riscuotere che ha indubbiamente una vocazione sistemica e globale perché presuppone l’accordo di tutti gli Stati. Tassando i bit a monte degli operatori del traffico digitale, in piccolissime quantità, si possono ottenere enormi introiti che andrebbero devoluti a un Fondo internazionale avente scopi sociali».
=> Editoria: una tassa sul diritto d’autore per le news online
L’idea che sta alla base della “bit tax” è che, oggi, la ricchezza delle nazioni proprio nei dati che viaggiano ogni anno in Rete: transazioni finanziarie e commerciali, servizi e intrattenimento. Una nuova economia che però ad oggi non ha portato alcun beneficio economico per gli Stati, non essendo prevista alcuna forma di tassazione. L’imposta su internet dovrebbe ovviare a questa mancanza.