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Professionisti: stop ai controlli bancari

di Francesca Vinciarelli

Pubblicato 28 Ottobre 2014
Aggiornato 4 Novembre 2014 09:45

Il Fisco si adegua alla sentenza della Corte Costituzionale: cadendo per i professionisti la presunzione costi/ricavi sui conti bancari, l'Agenzia delle Entrate annulla i contenziosi.

L’Agenzia delle Entrate si adegua alla sentenza della Corte Costituzionale n. 228/2014 dello scorso 6 ottobre, secondo cui non è lecita la presunzione costi/ricavi (pagamenti in nero) in relazione a versamenti e prelevamenti sui conti bancari dei Professionisti, in caso di mancata indicazione del beneficiario (legge n. 311/2004)non potendo più essere automaticamente accusati non possono neanche essere soggetti a controlli fiscali indiscriminati, per cui decadono i contenziosi aperti in questo senso. Il Direttore Rossella Orlandi ha anticipato che stanno per partire «precise direttive in tal senso».

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Presunzione illecita

Come noto, la Corte ha stabilito l’illegittimità costituzionale dell’art. 32, comma 1, numero 2), secondo periodo, del D.P.R. 29 settembre 1973, n. 600 (Disposizioni comuni in materia di accertamento delle imposte sui redditi), come modificato dall’art. 1, comma 402, lettera a), numero 1), della legge 30 dicembre 2004, n. 311 (Finanziaria 2005), limitatamente alle parole “o compensi”. L’Art. 32 del D.P.R. n.600/1973, lo ricordiamo, prevedeva la presunzione in base alla quale le somme prelevate o versate sul conto corrente  costituiscono compensi assoggettabili a tassazione, se non sono o annotate nelle scritture contabili e se non sono indicati i soggetti beneficiari dei pagamenti. L’art. 1 della legge n. 311 del 2004, inserendo nel corpo di tale parte della disposizione le parole “o compensi” aveva esteso ai lavoratori autonomi l’ambito operativo di tale presunzione.

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Attività professionale

La decisione della Corte Costituzionale, che pone fine alla presunzione in questione, si basa sul fatto che l’esercizio di una attività professionale non può essere equiparata automaticamente ad una qualsiasi attività imprenditoriale, per la quale mantiene piena efficacia la suddetta presunzione. Per il reddito da lavoro autonomo, sottolinea la Corte, non possono valere le correlazioni logico-presuntive tra costi e ricavi tipiche del reddito d’impresa e il prelevamento sarebbe un “fatto oggettivamente estraneo all’attività di produzione del reddito professionale”, idoneo a costituire un “mero indice generale di spesa”. Questo perché, anche se le figure dell’imprenditore e del lavoratore autonomo sono per molti versi affini nel diritto interno come nel diritto comunitario, esistono specificità che devono essere considerate. Ad esempio l’attività svolta dai lavoratori autonomi, tipicamente, caratterizza per la preminenza dell’apporto del lavoro proprio e la marginalità dell’apparato organizzativo. Tale marginalità assume poi differenti gradazioni a seconda della tipologia di lavoratori autonomi, sino a divenire quasi assenza nei casi in cui è più accentuata la natura intellettuale dell’attività svolta, come per le professioni liberali. La Corte sottolinea inoltre che:

“La non ragionevolezza della presunzione è avvalorata dal fatto che gli eventuali prelevamenti (che peraltro dovrebbero essere anomali rispetto al tenore di vita secondo gli indirizzi dell’Agenzia delle Entrate) vengono ad inserirsi in un sistema di contabilità semplificata di cui generalmente e legittimamente si avvale la categoria; assetto contabile da cui deriva la fisiologica promiscuità delle entrate e delle spese professionali e personali”.

In conclusione

“Nel caso di specie la presunzione è lesiva del principio di ragionevolezza nonché della capacità contributiva, essendo arbitrario ipotizzare che i prelievi ingiustificati da conti correnti bancari effettuati da un lavoratore autonomo siano destinati ad un investimento nell’ambito della propria attività professionale e che questo a sua volta sia produttivo di un reddito”.