Per quanto concerne l’imposizione da applicare sulla plusvalenza (la differenza tra quanto calcolato per l’imposta di registro e il corrispettivo dichiarato nell’atto) realizzata nella cessione di immobile può rilevare il valore finale del bene. Prendendo in considerazione – ai fini IRPEF – il reale valore di mercato, infatti, non verrebbe leso il diritto del contribuente di contestare la somma rilevata (Cassazione, sentenza n. 17653/2014). Questo significa però che la plusvalenza costituisce una maggiore componente positiva di reddito realizzata dai venditori e come tale soggetta a tassazione.
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Sullo stesso tema ci sono sentenze discordanti. La Corte di Cassazione, sezione Tributaria, con sentenza n.24054/2014 afferma invece che non si può presumere una maggiore plusvalenza tassabile sul solo presupposto di un minore corrispettivo di vendita rispetto a quello di mercato. Non si potrebbe dunque applicare alle imposte sui redditi (IRPEF) il valore rilevante ai fini dell’imposta di registro, in quanto le due imposizioni seguono regole differenti.
Le due sentenze, in realtà, distinguono tra valore e corrispettivo. Solo quest’ultimo, dunque, legittimerebbe l’identificazione della plusvalenza.
Qualora, dunque, si realizzi una differenza tra valore determinato per l’imposta di registro e corrispettivo dichiarato nella compravendita, in base al primo pronunciamento l’Amministrazione finanziaria potrebbe legittimamente procedere con un avviso di accertamento induttivo per il recupero a tassazione – ai sensi del previgente articolo 81, comma 2 del Tuir (ora 67 e ss.) – sulla presunta omissione IRPEF.
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In caso di plusvalenza patrimoniale realizzata a seguito di cessione di immobile, inoltre, secondo la Cassazione ( sentenza n. 17653/2014) resta a carico del contribuente l’onere probatorio relativamente alla corrispondenza del prezzo incassato con il valore di mercato accertato in sede di applicazione dell’imposta.