Una nuova sentenza (la n. 26395 del 26 novembre 2013) della Corte di Cassazione in tema di cartelle esattoriali fornisce interessanti indicazioni per i casi in cui si verifichino dei vizi formali o una tardiva iscrizione dei crediti contributivi nei ruoli esecutivi. Più in particolare, i giudici hanno chiarito che la presenza di un vizio formale o il mancato rispetto del termine di decadenza per l’iscrizione a ruolo del debito non pregiudicano la possibilità per l’INPS di recuperare i contributi non pagati dall’impresa. In sostanza L’Istituto può recuperare i contributi non pagati anche se la cartella esattoriale è affetta da un vizio formale scegliendo la via dell’accertamento del suo diritto in sede giudiziaria
Motivazione
Questo perché “un eventuale vizio formale della cartella o il mancato rispetto del termine decadenziale previsto ai fini dell’iscrizione a ruolo comporta soltanto l’impossibilità, per l’Istituto, di avvalersi del titolo esecutivo, ma non lo fa decadere dal diritto di chiedere l’accertamento in sede giudiziaria dell’esistenza e dell’ammontare del proprio credito”, si legge nella sentenza. Il caso riguardava una condanna a pagare all’INPS 118.708,07 euro oltre agli interessi, a titolo di contributi non versati, pronunciata dal Tribunale di Massa. La Cassazione ha confermato tale sentenza rigettando due delle tre motivazioni addotte dal ricorrente.
La sentenza
Il ricorrente lamentava in primo luogo la ” violazione e falsa applicazione degli artt. 13 legge n. 448/98, 17, 24, 25, 36 e 37 d.lgs. n. 46/99, 2964, 2966 e 2969 c.c., nonché vizio di motivazione, per avere i giudici di merito statuito che l’eccepita decadenza dell’INPS per tardiva iscrizione dei crediti contributivi nei ruoli esecutivi non esclude il diritto dell’istituto di esigere nelle forme ordinarie il pagamento dei contributi non versati, dovendosi invece ritenere – a dire della ricorrente – che tali crediti possano essere azionati unicamente mediante iscrizione nei ruoli esecutivi nei termini tassativi indicati dall’art. 25 d.lgs. n. 46/99, norma che – in breve – si riferirebbe ad una decadenza sostanziale”.
Per la Corte di Cassazione tale motivo si rivela infondato in quanto “in tema di riscossione di contributi previdenziali, l’opposizione avverso la cartella esattoriale di pagamento dà luogo ad un giudizio ordinario di cognizione su diritti ed obblighi inerenti al rapporto contributivo, con la conseguenza che l’ente previdenziale convenuto può chiedere, oltre che il rigetto dell’opposizione, anche la condanna dell’opponente al pagamento del credito di cui cartella, senza che ne risulti mutata la domanda (cfr. Cass. 6.11.09 n. 23600; Cass. 20.4.02 n. 5763). Ciò perché l’iscrizione a ruolo è solo uno dei meccanismi che la legge accorda all’INPS per il recupero dei crediti contributivi, ferma restando – dunque – anche la possibilità che l’istituto agisca nelle forme ordinarie, come correttamente ritenuto dall’impugnata sentenza (su tale alternativa, per l’analoga posizione dell’INAIL, v. anche Cass. 6.8.12 n. 14149).
D’altronde, come questa S.C. ha altresì statuito (v. Cass. n. 13982/07), la cartella esattoriale costituisce non un atto amministrativo, ma un atto della procedura di riscossione del credito (i cui motivi sono già stati indicati e la cui liquidazione è già stata effettuata nei verbali di accertamento redatti dagli ispettori e notificati alle parti). E se all’esito del giudizio di opposizione il credito contributivo viene accertato in misura inferiore a quella azionata dall’istituto, il giudice deve non già accogliere sic et simpliciter l’opposizione, ma condannare l’opponente a pagare la minor somma”.
La seconda lamentela del ricorrente riguardava la “violazione e falsa applicazione degli artt. 2697 c.c., 115 e 416 c.p.c., nonché vizio di motivazione, per avere la Corte territoriale trascurato che è onere dell’INPS, a fronte della contestazione della ricorrente, provare che le retribuzioni imponibili ex lege n. 389/89 su cui parametrare la contribuzione dovuta sono superiori a quelle che la M. aveva assoggettato a contribuzione”.
Motivo anch’esso rigettato dalla Corte, per la quale quello addotto è “un aspetto, inammissibile perché generico, in quanto non investe specificamente uno dei passaggi argomentativi utilizzati dall’impugnata sentenza, là dove essa ha evidenziato che riguardo al dipendente Pupuleku le differenze sui contributi derivavano dal fatto che nel suo caso non potevano riconoscersi i benefici previsti per l’apprendistato, essendo stato stipulato il relativo contratto quando il rapporto lavorativo era già in corso.
Invero, per costante insegnamento giurisprudenziale di questa S.C. la parte soccombente non può limitarsi, a fronte di un’analitica motivazione di rigetto contenuta nella gravata pronuncia, a riproporre sic et simpliciter le domande, le eccezioni o le difese respinte o ad allegare genericamente l’erroneità della decisione impugnata o, ancora, a rifarsi alle difese già svolte nel precedente grado di giudizio, ma ha l’onere di confutare con specifiche e concrete argomentazioni tutte le ragioni svolte dal primo giudice, al fine di incrinarne il fondamento logico-giuridico, precisando in qual modo (se per contrasto con la norma indicata, o con l’interpretazione della stessa fornita dalla giurisprudenza di legittimità o dalla prevalente dottrina) abbia avuto luogo la violazione in cui si assume essere incorsa la pronuncia di merito (cfr., ex aliis, Cass. Sez. II 19.11.04 n. 21896; Cass. Sez. IlI 23.7.04 n. 13830; Cass. Sez. II 16.4.99 n. 3805). In altre parole, il ricorso deve necessariamente investire tutte le rationes decidendi adottate dall’impugnata sentenza”.
Viene invece ritenuto fondato il terzo motivo che denunciava la “violazione e falsa applicazione dell’art. 3 co. 9 legge 8.8.95 n. 335, nonché vizio di motivazione, perché l’impugnata sentenza ha erroneamente confermato anche il pagamento delle contribuzioni riferite a periodi anteriori al quinquennio a retroagire dalla data (1°.6.04) della notifica del verbale di accertamento; per l’effetto, conclude la ricorrente, sono rimasti prescritti i contributi maturati anteriormente al 1°.6.99” perché “la rilevabilità d’ufficio della prescrizione dei crediti contributivi presuppone soltanto che i fatti da cui desumerla siano stati allegati dalle parti: nel caso di specie non v’è dubbio che essi lo siano stati, visto il verbale d’accertamento per cui è causa (notificato il 1°.6.04 per crediti contributivi risalenti anche al 1998-99) e la mancanza di precedenti atti di interruzione della prescrizione da parte dell’INPS”.
Riassumendo: la Corte ha rigettato “i primi due motivi di ricorso ed accolto il terzo, con conseguente cassazione della sentenza in relazione al motivo accolto e rinvio, anche per le spese, alla Corte d’appello di Genova in diversa composizione”.