Costi e ricavi in bilancio e nella dichiarazione dei redditi: se per il Fisco risultano troppo elevati i costi deducibili, la verifica di adeguatezza spetta al contribuente. Lo spiega la Corte di Cassazione, con la sentenza n. 4554 del 25 febbraio 2010. Tale valutazione di congruità rientra tra le prerogative del Fisco, anche se non sussistono irregolarità nelle scritture contabili.
In pratica, se il Fisco valuta sproporzionati i costi dichiarati rispetto all’attività d’impresa, risulta legittimo l’accertamento.
Nei precedenti due gradi di giudizio era stata l’Agenzia a soccombere, ma ora la Cassazione ha ribaltato il giudizio. Il caso in questione riguardava un avviso di accertamento con cui venivano recuperati a tassazione costi non deducibili, a seguito della contestazione alla società contribuente da parte della Guardia di finanza, che aveva ritenuto l’entità delle somme erogate troppo cospicua e quindi sproporzionata per un’attività di semplice consulenza.
Inoltre, il contribuente non era stato in grado di fornire alcuna prova dell’adeguatezza delle somme erogate e del carattere economico delle attività svolte.
La sentenza ribadisce così, come già avvenuto in altre sentenze relative a questioni di detraibilità ai fini Iva, che è il contribuente a doversi fare carico di fornire la prova sulla effettiva deducibilità dei costi in materia dei reddito d’impresa, per tutti gli elementi che concorrono alla riduzione del carico fiscale.
È comunque da escludere la possibilità che l’Agenzia delle Entrate di routine recuperi a tassazione intere voci di costo confidando sul fatto che, nella fase contenziosa, il contribuente non sia in grado di assolvere l’onere di provare il proprio diritto di deduzione.