Con la sentenza n. 3564 del 16 febbraio 2010, la Corte di Cassazione ha stabilito che, nei casi in cui un’accusa di evasione fiscale venga archiviata in sede penale a favore del contribuente, l’accertamento non deve essere sospeso, e permane dunque la responsabilità fiscale.
La Corte di Cassazione appoggia così l’Agenzia delle Entrate, che stima evasioni fiscali in Italia per un valore di 200 miliardi di euro l’anno.
In sintesi, l’assoluzione del contribuente da un reato fiscale non può condizionare le decisioni delle Commissioni tributarie provinciali e regionali (ctp e ctr).
Viene inoltre stabilito che «il giudice tributario non può limitarsi a rilevare l’esistenza di un provvedimento penale favorevole al contribuente, assumendone automaticamente gli effetti nel giudizio di sua competenza»: deve invece sempre verificare e spiegare il motivo per cui gli elementi concreti accertati dal giudice penale possano essere considerati rilevanti per la soluzione del caso.
Nello specifico il caso si riferiva ad un società a responsabilità limitata accusata di reiterata utilizzazione di fatture ritenute inesistenti facenti riferimento a fornitori nazionali fittizi interposti nel traffico transfrontaliero, quando invece l’effettivo destinatario commerciale era la società stessa.
La frode, così strutturata, da una parte creava un debito d’imposta a carico delle società fittizie, che quindi non veniva assolto. Dall’altro si creava un credito di imposta, in realtà inesistente, a favore della società.