Con la rottamazione delle cartelle esattoriali, nel caso in cui il contribuente avesse già proposto ricorso per contestare la pretesa tributaria, aderendo in un secondo momento alla definizione agevolata, rinuncia di fatto alla causa e quindi può essere chiamato a pagare le spese processuali, se i motivi addotti per contestare l’atto impositivo vengono giudicati infondati. È quanto chiarito dalla Corte di Cassazione con l’ordinanza 8377/2017.
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Nel caso in oggetto, la titolare di un’impresa individuale aveva contestato un avviso di accertamento relativo a presunti debiti IRPEF e IRAP, considerati illegittimi in quanto non preceduti da PVC e per errata determinazione del reddito d’impresa (l’Ufficio non aveva scomputato dai maggiori ricavi accertati quelli scaturenti dall’attività, compensando le due somme).
Dopo aver proposto ricorso in Cassazione, la contribuente aderiva alla rottamazione delle cartelle esattoriali concessa dal Dl 193/2016 (Decreto Fiscale), con impegno a rinunciare ai giudizi relativi ai ruoli rottamati e quindi depositando atto di rinuncia al ricorso. Dichiarando estinto il giudizio, la Corte di Cassazione ha però condannato la ricorrente a pagare le spese processuali, liquidate come in dispositivo, in considerazione della sua soccombenza virtuale.
Questo perché, in assenza della definizione agevolata dei ruoli, la Cassazione avrebbe respinto le richieste della contribuente condannandola comunque anche al pagamento delle spese di lite (con un diverso giudizio, non le sarebbero state ascritte).
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La diretta conseguenza della decisione della Corte di Cassazione è che, nel caso in cui contribuente rinunci al ricorso per la rottamazione dei ruoli, tale ricorso proposto va comunque letto e giudicato per determinare l’eventuale soccombenza virtuale del contribuente ed il conseguente pagamento delle spese di lite.