Le somme erogate per patto di non concorrenza sono assoggettabili a contribuzione? Nel caso specifico, detta indennità viene statuita al momento della cessazione del rapporto di lavoro, con accordo sindacale. Si deve considerare una somma a titolo risarcitorio, quindi esente da contribuzione, oppure assimilabile ad un superminimo quindi assoggettabile?
Il patto di non concorrenza (art. 2125 c.c.) è una clausola contrattuale che può essere introdotta di comune accordo fra datore di lavoro e lavoratore: essa limita la facoltà del prestatore di lavoro di svolgere attività professionali in concorrenza con l’azienda per un certo periodo di tempo successivo alla cessazione del rapporto di lavoro. Dal punto di vista della contribuzione, la questione è parecchio dibattuta.
Patto di non concorrenza a rapporto cessato
Secondo l’orientamento della dottrina e ad alcune pronunce di merito, solo se il patto di non concorrenza interviene quando il rapporto è già cessato per autonomo accordo fra ex datore di lavoro ed ex dipendente, non essendo ricollegabile al concetto di retribuzione, il corrispettivo pattuito ed erogato è da ritenersi esente da contributi. In questo caso i compensi vengono erogati all’atto o successivamente alla cessazione del rapporto di lavoro e quindi sono soggetti a tassazione separata, sia che ciò avvenga in unica soluzione o a rate e si applica la stessa aliquota di tassazione utilizzata per il TFR.
Patto di non concorrenza in costanza di rapporto
Qualora invece il corrispettivo venga corrisposto in costanza di rapporto, lo stesso avrà natura retributiva, ovvero si deve assoggettare al prelievo IRPEF ordinario e, di conseguenza, concorre a formare la base per il calcolo del trattamento di fine rapporto ( sentenza della Cassazione del 4 aprile 1991, n.3507).
Patto di non concorrenza a fine rapporto
Se il compenso viene erogato alla fine del rapporto ma l’accordo e stato stretto prima della cessazione, esso è soggetto a tassazione separata, ma si ritiene comunque soggetto a contribuzione previdenziale, in questo caso non assume infatti i connotati dell’indennità risarcitoria bensì quelli della retribuzione per “non facere” (Cass. 15/7/2009 n. 16489).
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Chiedi all'espertoRisposta di Noemi Ricci