Le Pmi italiane hanno affrontato una crisi economica da cui non sono ancora completamente uscite e che ne ha condizionato fatturato e redditività, sottoponendole a una complessa gestione del rischio, a cui tutto il sistema imprenditoriale e produttivo italiano è stato ed è ancora sottoposto.
Per fare il punto della situazione, Alessandro Penati, ordinario presso la facoltà di Scienze bancarie dell’Università Cattolica del Sacro Cuore di Milano, ha analizzato i bilanci di tutte le società italiane quotate in Piazza Affari (fatta eccezione per banche, assicurazioni e holding di partecipazione), dal 2005 all’inizio di questo 2011. Dunque, un periodo relativamente lungo e che soprattutto inizia con gli anni di crescita di cui la Borsa ha goduto tra il 2005 e il 2007, prosegue con la crisi del 2008-2009, fino ad arrivare alla lieve ripresa che ha caratterizzato il mercato a inizio 2011.
Fatturato imprese
Penati ha scelto di considerare in particolare le società quotate per facilità di analisi: sono tenute a comunicare i propri dati tempestivamente, redigono bilanci in modo uniforme e compilano il rendiconto finanziario, che consente di comprendere la struttura finanziaria di un’azienda. Quindi è stato possibile effettuare un’analisi e una sovrapposizione univoca dei parametri di valutazione (perché applicano tutte criteri oggettivi Ias – International Accounting Standards).
Ma veniamo ai dati: analizzando il fatturato delle società si può notare come l’impatto della crisi sulla capacità di produrre ricchezza delle aziende sia stato violento. Dopo quattro anni di crescita media superiore al 10% infatti si è avuta una brusca contrazione del 7% nel 2009. Solo dopo un 2010 caratterizzato dalla stasi, nel 2011 si sono registrati i primi cenni di ripresa, con i ricavi finalmente in crescita, anche se pur escludendo un calo nel secondo semestre dell’anno in corso, a fine 2011 il fatturato non potrà comunque tornare ai livelli presenti prima della crisi.
Nonostante un crollo delle entrate così repentino le imprese sono state abili nell’intervenire in maniera efficace: il cash flow operativo, ovvero il flusso di cassa netto generato dalla differenza tra ricavi e costi di gestione (esclusi quelli operativi), a cui va aggiunta la cassa generata dai crediti con i fornitori meno quella dei clienti, è sceso dal 23% al 13% del 2009, fino a risalire ai livelli precedenti alla crisi economica nel corso del 2010. Gli effetti della drastica riduzione dei ricavi sono stati arginati tagliando i costi e ribaltando i rapporti tra credito e debito con fornitori e clienti. In questo modo è stata tutelata la capacità di generare cassa.
Sono anche riuscite a farlo senza ridurre troppo gli investimenti, di poco inferiori al 7% dal 2008 a oggi. Quindi pur essendo avvenuta una riduzione in termini dimensionali delle aziende, a questo non ha fatto seguito una riduzione del cash flow e degli investimenti.
Per quanto riguarda la cassa generata, in media il 20% è stato ridistribuito in dividendi tra gli azionisti, il resto trattenuto dalle aziende, così da mantenere costanti gli investimenti senza indebitarsi (l’indebitamento è rimasto costante rispetto ai cinque anni rappresentando il 25% del totale delle attività).
Redditività imprese
Lo stesso non vale se si analizza la redditività delle imprese. L’utile è sceso dal 20% del patrimonio registrato prima della crisi al 9% di oggi, un calo comprensibile se si tiene conto da un lato della compressione del risultato netto sul fatturato (oggi dimezzato al 4,5%), dall’altro di una minore efficienza del capitale, con il fatturato sceso da 2,5 a meno di 2 volte il patrimonio.
È interessante notare come i dati relativi alle piccole e medie aziende quotate in Borsa siano del tutto simili a quelle non quotate, come testimoniato dal confronto con l’analisi di Mediobanca relativo alle Pmi disponibile fino all’anno 2008, consentendo così di poter generalizzare i dati ottenuti per le aziende quotate, estendendoli a ragione a tutto l’universo di piccole e medie aziende del Paese.