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Manovra Finanziaria e Studi di Settore: le sanzioni

di Anna Fabi

Pubblicato 10 Agosto 2011
Aggiornato 7 Dicembre 2011 22:24

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La riforma parziale degli Studi di Settore contenuta nella Manovra Finanziaria 2011 introduce conseguenze devastanti per i contribuenti che sbaglino modelli e dichiarazioni.

La Manovra Finanziaria – lett. b) art.28, legge n.111/2011 – integra il comma 1, art.8, della dlgs. 471/1997, in materia di sanzioni massime per in caso di omessa presentazione del modello degli studi di settore (Euro 2.065,83): «laddove tale adempimento sia dovuto ed il contribuente non abbia provveduto alla presentazione del modello anche a seguito di specifico invito da parte dell’Agenzia delle Entrate». Tale sanzione, si badi bene, viene comminata a prescindere da una possibile congruità dei ricavi, per il solo fatto che il modello sia stato omesso.

Appare di difficile interpretazione l’ultima parte del dettato normativo nella Manovra Finanziaria, che allarga la sanzione anche ai casi di richiesta della presentazione a seguito di invito da parte del Fisco.

Una possibile lettura potrebbe essere quella che vede la possibilità per il contribuente di “correre ai ripari” presentando il modello tardivamente, a seguito di richiesta da parte dell’Agenzia delle Entrate, dimostrando spirito di collaborazione ed evitando non già l’applicazione della sanzione di legge, ma perlomeno la sua valorizzazione massima.

Nel caso in cui vengano rilevati i presupposti per l’applicazione delle sanzioni per infedele dichiarazione IRES/IRPEF e IRAP, l’omessa presentazione del modello comporta automaticamente un incremento delle sanzioni pari al 50% delle stesse. Tale maggiorazione, tuttavia, non è applicabile laddove «il maggior reddito d’impresa ovvero di arte o professione, accertato a seguito della corretta applicazione degli studi di settore, non è superiore al 10 per cento del reddito d’impresa o di lavoro autonomo dichiarato».

In altre parole, in caso di presenza congiunta di infedele dichiarazione e omessa presentazione del modello degli studi, laddove sia riscontrabile un incremento del reddito superiore al 10% addebitabile ad una corretta applicazione degli studi, le sanzioni previste per l’infedele dichiarazione – che vanno generalmente dal 100% al 200% della maggiore imposta accertata – si incrementano ora al 150% (minima) al 300% (massima).

Va tuttavia considerato che rimane ancora in vita la previsione dell’incremento del 10% di tali sanzioni in caso di omessa o infedele indicazione dei dati previsti nel modello, che sembrerebbe andare ad aggiungersi alla “nuova” maggiorazione. Quindi, nel caso di dichiarazione infedele ed omessa presentazione del modello, grazie al combinato disposto della “vecchia” e nuova maggiorazione le sanzioni applicabili dovrebbero attestarsi tra il 165% ed il 330%!

Vale precisare che le maggiori sanzioni introdotte dalla Manovra Finanziaria attengono solo all’omessa presentazione del modello, e non anche ad una infedele indicazione dei dati al suo interno, per il qual caso viene applicato “solo” l’incremento già esistente pari al 10%.

Uno degli elementi di criticità introdotti dalla Manovra Finanziaria è costituito senz’altro da una sorta di automatismo, laddove il contribuente dovesse omettere di presentare – nell’ambito della dichiarazione dei redditi – il modello relativo agli studi di settore, riporti in modo non corretto (per dirla come la legge, in modo “infedele”) i dati al suo interno o riporti l’indicazione di cause di esclusione o di inapplicabilità non sussistenti.

In tali casi, infatti, l’Agenzia delle Entrate potrà procedere ad effettuare un accertamento induttivo “puro”, ex art. 39, d.p.r. 600/1973, con facoltà di disattendere quindi, anche completamente, il contenuto delle scritture contabili. Tale previsione, invero, scatta solo nel caso in cui sia applicabile il già richiamato co. 2-bis dell’art. 1, d.lgs. 471/1997 che prevede una sorta di franchigia pari al 10% del reddito dichiarato. In altre parole, laddove a seguito di omessa o infedele indicazione dei dati degli studi di settore, il reddito accertabile risulti superiore di oltre il 10% di quanto dichiarato, il Fisco potrà provvedere automaticamente ad applicare le disposizioni dell’accertamento induttivo.

Purtroppo, molto spesso anche i contribuenti in buona fede possono sbagliare l’inserimento dei dati, soprattutto se si considera la difficoltà insita nella compilazione degli Studi, resa a volte ancor più ostica da molteplici interpretazioni sulle istruzioni ministeriali in relazione all’inserimento di talune voci di bilancio.

Al riguardo, la franchigia del 10% appare troppo bassa per distinguere tra contribuenti in buona fede evasori. Inoltre, le conseguenze previste dalla normativa appaiono sproporzionate rispetto al danno: non appare infatti corretto attribuire al Fisco la facoltà di evitare le scritture contabili, ancorché correttamente formulate, a causa di un vizio relativo ad uno strumento accertativo che è ormai stato unanimemente considerato avente forza probatoria pari ad una presunzione semplice.

La riforma degli studi di settore dispone infine la soppressione del previgente co. 4-bis dell’art. 10, l. 146/1998, il quale prevedeva che «in caso di rettifica, nella motivazione dell’atto devono essere evidenziate le ragioni che inducono l’ufficio a disattendere le risultanze degli studi di settore in quanto inadeguate a stimare correttamente il volume di ricavi o compensi potenzialmente ascrivibili al contribuente». In altre parole, d’ora in poi l’Agenzia delle Entrate potrà emettere avviso di accertamento anche verso contribuenti congrui, senza addurre motivazioni sul disconoscimento di detta
congruità.

Anche tale formulazione appare assolutamente censurabile, ed in contraddizione logica con le altre nuove previsioni prima esaminate. Mentre da una parte il Legislatore ha introdotto effetti devastanti in relazione ad errori od omissioni del modello degli Studi, dall’altra ha ritenuto superfluo anche solo motivare la disapplicazione delle risultanze di Gerico.