In virtù del Decreto 74/2000 è possibile godere di una riduzione della pena per chi paga determinati debiti tributari e relative sanzioni amministrative prima dell’inizio del dibattimento di primo grado. In realtà, non è l’adesione in sé a costituire attenuante ma il pagamento del debito con lo Stato, che può essere effettuato anche da un soggetto terzo o utilizzando il modello F24 in compensazione di altri tributi.
=> Guida all’Accertamento con adesione
Sul tema si è espressa più volte la Corte di Cassazione aiutando a comprendere la ratio della norma e la sua applicazione.
Con la Sentenza 14 febbraio 2012, n. 5640 la Corte ha analizzato la contestazione di dichiarazione infedele, che si applica solo se vengono superati determinati limiti: come in una pronuncia precedente (Cass. 21213/2008) per quanto concerne l’individuazione del superamento della soglia di punibilità, è il giudice penale a dover accertare e determinare a quanto ammonti la somma evasa, anche quando è diversa da quanto stabilito dal giudice tributario, così da produrre effetti quali la riduzione o l’invalidazione di quanto dovuto.
Naturalmente è valido anche il contrario: se il giudice tributario ha ritenuto che non si sia superata la soglia di punibilità, quello penale può ritenere il contrario appurando che la cifra sia superiore a quella accertata dal giudice tributario, e decidere così di procedere contro il contribuente.
Ma se il giudice penale non è vincolato a quanto accertato dal giudice tributario, non può invece prescindere dalla pretesa tributaria dell’amministrazione finanziaria. Dal canto suo la pretesa tributaria, che può essere ridimensionata in seguito all’atto negoziale sottoscritto, può anche essere riportata a quanto stabilito originariamente se il giudice penale ravvisa elementi di fatto in grado di far intendere corretta la quantificazione iniziale di quanto dovuto a titolo d’imposta.
Con la Sentenza 45847/2012 la Cassazione ha stabilito che l’atto di accertamento con adesione derivante dal contraddittorio tra l’ufficio e il contribuente, che abbia prodotto un dato inferiore a quanto accertato, deve essere seguito dal sequestro preventivo della somma concordata, e mai di beni il cui valore è superiore a tale somma.
Le ragioni che motivano il sequestro, sempre secondo la Corte, sono di privare l’autore del reato dei vantaggi economici che derivano dall’attività illecita, anche nel caso in cui risulti impossibile aggredire l’oggetto principale dell’attività stessa (accertamenti fiscali).
La Sentenza 17706/2013, infine, nel richiamare la 5640/2012, sottolinea ancora che il giudice penale:
“non è vincolato dalle risultanze dell’atto negoziale concordato dal contribuente evasore con l’ente impositore, ma solo dalla considerazione metodologica dell’esistenza di un tale diverso contenuto dell’obbligazione tributaria, rispetto a quella originariamente contestata con l’avviso di accertamento”.
Il giudice deve prima analizzare le motivazioni contrastanti in maniera esaustiva e priva di vizi logici e giuridici, poi associarsi a quella che, alla luce del processo, risulta essere quella valida.