In tema di beni d’impresa a soci e familiari in godimento privato, facciamo il punto sul corretto trattamenti fiscale, per evitare che siano sottoposti a doppia imposizione. Il riferimento è la Circolare n. 36/E del 24 settembre 2012, che richiama quanto espresso nella Circolare n. 24/E del 15 giugno in merito alla legge 148/2011, sulla verificabilità degli elementi essenziali a determinare che esista un diverso provento imputabile al socio/familiare al quale è stato concesso in uso il bene aziendale.
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Godimento beni
La normativa si applica a «beni utilizzati nell’ambito dell’attività d’impresa a fronte dei quali emergono ordinariamente componenti positivi di reddito e per i quali è riconosciuta la piena deducibilità dei costi». A tale scopo è necessario fornire documentazione dell’accordo tra concedente ed utilizzatore contenente dati quali corrispettivo, inizio e durata del godimento del bene. Tuttavia, in assenza di un atto scritto preesistente che attesti con certezza l’inizio dell’uso privato del bene di data certa antecedente alla data di inizio dell’utilizzazione dello stesso, il contribuente può provare in altro modo gli elementi essenziali dell’accordo.
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Doppia tassazione
Per evitare la doppia tassazione, nel caso in cui l’utilizzatore coincida con l’imprenditore individuale o con il socio di società di persone e di società trasparenti per opzione di cui all’articolo 116 del TUIR:
«il reddito diverso da assoggettare a tassazione in capo all’utilizzatore deve essere ridotto del maggior reddito d’impresa imputato allo stesso utilizzatore (imprenditore individuale o socio tassato per trasparenza) a causa dall’indeducibilità dei costi del bene concesso in godimento che ha generato il reddito diverso».
Dunque è necessario provare che non vi è in essere tale tentativo, documentando in modo certo ed oggettivo le condizioni contrattuali. Questo significa che ad essere assoggettata a tassazione come reddito diverso sarà solo l’eventuale eccedenza risultante dalla
«differenza del valore normale del diritto di godimento del bene e il corrispettivo pagato, con il reddito d’impresa imputato all’imprenditore individuale o la quota parte del reddito attribuito al socio per trasparenza corrispondente all’ammontare dei costi non ammessi in deduzione».
Autoveicoli
Nel caso in cui il bene in oggetto sia un autoveicolo (come le vetture aziendali) viene introdotta un’ulteriore semplificazione: il valore normale deve essere determinato ai sensi dell’articolo 51, comma 4, del TUIR. Non trovano invece applicazione le disposizioni descritte nell’articolo 2, commi da 36-terdecies a 36-duodevicies per i casi e i beni in cui il legislatore fiscale ha riconosciuto l’integrale deducibilità dei costi nell’ambito del reddito d’impresa anche quando la natura stessa dei beni permette il loro uso promiscuo. Un tipico esempio sono le autovetture adibite ad uso pubblico, come quelle dei tassisti, per le quali il legislatore fiscale si disinteressa dell’eventuale uso del bene stesso nella sfera privata. L’art. 14, comma 6, del decreto legislativo del 19 novembre 1997, n. 422 riporta infatti che «ad integrazione dell’articolo 86 del decreto legislativo 30 aprile 1992, n. 285, ai veicoli adibiti al servizio di piazza per il trasporto di persone di cui all’articolo 82, comma 5, lettera b), dello stesso decreto, è consentito l’uso proprio fuori servizio».
Per maggiori informazioni consultare la Circolare n. 36/E dell’Agenzia delle Entrate