Manovre fiscali degli ultimi anni e giro di vite sui controlli anti-evasione: vediamo caso per caso quale comportamento tenere per evitare contestazioni dal Fisco o adottare una difesa efficace in caso di accertamento.
I nuovi accertamenti
La Finanziaria Monti ha cambiato le verifiche fiscali, tornando ad inasprirle laddove erano state rese più morbide dal precedente governo con il Dl 70/2011. La legge 214/2011, infatti, fatto salvo l’obbligo di reciproca informazione tra agenzie fiscali, Guardia di Finanza, Inps, Monopoli di Stato, ministero del Lavoro e amministrazioni locali, ha abrogato:
- la restrizione legata a una sola verifica nell’arco di sei mesi in caso di ispezioni in sede del contribuente (deroga solo in caso di nuova verifica per repressione dei reati, tutela della salute e sicurezza sul posto di lavoro, tutela dell’igiene e dell’ordine pubblico).
- la norma che prevedeva (nel Decreto Sviluppo) l’illecito disciplinare verso i funzionari che non avessero rispettato le indicazioni sull’informazione preventiva agli altri istituti ed enti, sulla comunicazione dell’esito delle verifiche agli altri enti interessati,
I controlli in sede
I funzionari possono svolgere l’indagine presso la sede del contribuente per 30 giorni nel caso di aziende in contabilità ordinaria e 15 giorni (compresi in un trimestre) nel caso di lavoratori autonomi o professionisti (i termini possono essere prorogati solo una volta per il medesimo periodo). La permanenza dei funzionari non deve necessariamente coincidere con la durata delle indagini, che possono anche avvenire presso gli uffici competenti. Se la permanenza supera il periodo massimo, non è prevista alcuna sanzione per il funzionario né è possibile l’inammissibilità dei dati raccolti nel periodo d’indagine eccedente, come rilevato dalla Cassazione. Il contribuente può far verbalizzare eventuali ingiustizie subite e rivolgersi al Garante. I rilievi del contribuente sono inseriti in un verbale di riepilogo, ed entro sessanta giorni dalla notifica il contribuente può produrre scritti difensivi. L’accesso alla sede del contribuente comporta per quest’ultimo una serie di garanzie, previste dall’art. 12 dello Statuto del contribuente:
- deve essere motivato dalla necessità di svolgere l’indagine in loco
- i funzionari devono rispettare l’orario di apertura dell’attività
- la Guardia di Finanza deve effettuare gli accessi in borghese
- il contribuente deve essere informato su motivazioni dell’accesso, periodo d’imposta su cui si sta svolgendo la ricerca, settore impositivo.
Se richiesto dal contribuente, l’indagine può proseguire presso il professionista che lo segue: in questo caso vengono meno le restrizioni temporali prima indicate. Gli accessi possono anche essere motivati dall’esigenza di controlli strumentali, quali la verifica dell’emissione di scontrini fiscali, fatture, ricevute. Per quattro violazioni compiute in quattro giorni diversi nell’arco di un quinquennio, oltre alla sanzione può scattare la sospensione della licenza o dell’autorizzazione commerciale per un periodo da tre giorni a un mese. La manovra finanziaria di Ferragosto aggiunge la sospensione dei soggetti iscritti a ordini e albi professionali, previa la dimostrazione che i corrispettivi siano stati effettivamente riscossi. Il trasgressore ha 60 giorni dalla notifica per fare ricorso contro le sanzioni o per presentare la difesa. Il provvedimento è impugnabile in caso di mancata contestazione attraverso un atto che contenga l’indicazione dei fatti, delle prove che li confermano, delle norme applicate, dei criteri utilizzati per determinare le sanzioni, del loro ammontare e dei minimi edittali di legge. In mancanza di quest’atto o di una di queste indicazioni le sanzioni sono nulle e impugnabili presso la Commissione tributaria.
=> Fisco: come difendersi dagli accertamenti
Onere della prova al contribuente
Molte contestazioni effettuate ad aziende, lavoratori autonomi e professionisti riguardano irregolarità legate all’anti-economicità delle operazioni. In questi casi è ribaltato l’onere della prova, che passa al contribuente: sta a lui dimostrare la propria innocenza, altrimenti i funzionari provvederanno a rimodulare il costo, che solo in parte potrà essere portato in deduzione. Ciò avviene anche in caso di un guadagno e vale anche per l’IVA. Per violazioni penali è prevista la trasmissione di notizia di reato alla Procura. La rettifica di un costo può avvenire nell’ambito di un gruppo di imprese, in cui una società affronta un costo per un guadagno che compete ad un’altra società del gruppo. Il Fisco può ritenere troppo alto il costo per l’azienda che ha dedotto la spesa, o troppo basso il guadagno per chi ha emesso fattura. La contestazione può anche riguardare i compensi dell’amministratore, che vengono dedotti dal reddito della società: avviene che se il controllo è svolto presso la società i costi appaiono eccessivi ai funzionari, se è condotto in capo all’amministratore appaiono sottostimati.
Qui la tipologia di difesa dipende dai singoli casi: è prassi contestare al fisco la volontà di fare la verifica sulla base esclusiva di scelte antieconomiche senza tener conto di altri fattori (che vanno indicati basandosi sulla giurisprudenza favorevole), e si possono esprimere i motivi che hanno condotto l’azienda (o l’amministratore) a quella che i funzionari definiscono una condotta antieconomica, confutandone i principi o dimostrando che non si è verificato un risparmio sull’imposta. Sintetizzando, per servizi infra-gruppo in cui la contestazione riguarda costi eccessivi sostenuti da un’impresa per conto di un’altra, è opportuno dimostrare come i costi ritenuti validi dai verificatori non sono in linea con il mercato (con esempi o ricerche di mercato) e, producendo la documentazione contabile del gruppo (con tutte le operazioni effettuate e i dettagli di spese e guadagni), dimostrare che non ci sono stati vantaggi fiscali derivanti dal presunto eccesso di spesa. Nel caso del compenso dell’amministratore, la difesa può citare la sentenza della Cassazione 24957/2010, che sottolinea l’impossibilità degli uffici di valutare la congruità del compenso per l’amministratore di una società, giustificare il compenso attraverso le prove del lavoro svolto e sottolineare come l’eccessivo (o presunto tale) compenso abbia prodotto un guadagno per l’Erario, visto che l’aliquota marginale IRPEF è spesso superiore a quella dell’IRES dedotta dalla società.
Se la verifica riguarda un libero professionista si può avere la contestazione di omessa fatturazione, per compensi ritenuti esigui e ricevute fiscali troppo vaghe. Qui la difesa deve basarsi sulla mancata risultanza dei maggiori ricavi percepiti ricordando che l’onere della prova spetta al fisco. Se viene riscontrata l’indeducibilità di costi per la carica di amministratore di società, perché non inerenti alla professione, si può sottolineare che la prestazione di amministratore rientra nell’esercizio dell’attività professionale (si pensi al caso di un commercialista). Un altro ambito riguarda le prestazioni sovra-fatturate dei professionisti, che potrebbero essere alla base di deduzioni fraudolente per il destinatario della prestazione. In questi casi si può, richiamando la sentenza della Cassazione n. 920 del 2012, rilevare come la sovra-fatturazione debba essere provata attraverso dati oggettivi e impostare una difesa che dimostri come una prestazione intellettuale difficilmente possa essere quantificata, anche se sottoposta a un confronto con la concorrenza. È opportuno prevenire possibili obiezioni appuntando preventivamente cosa la prestazione professionale comporta e giustificando gli importi richiesti.
Operazioni estere
Un capitolo a parte meritano le transazioni internazionali. Le indagini si concentrano su tre ambiti: analisi dei rapporti con Paesi inseriti nella black list, transfer pricing, esterovestizione. Secondo la Cassazione i costi derivanti da rapporti con Paesi black list devono essere accompagnati dalle condizioni esimenti indicate nell’art. 110, co. del Tuir: il contribuente deve provare che i fornitori residenti in Paesi black list svolgano un‘attività economica effettiva (prima esimente), oppure che le operazioni comportino un interesse economico effettivo (seconda esimente). Dimostrare la prima esimente può essere complicato, poiché spesso è difficile ottenere questi dati o documenti (bilancio, contratti di locazione, fatture delle utenze energetiche, contratti dei dipendenti ed estratti conto bancari). Diverso il discorso per la seconda esimente, per cui il contribuente può attestare un risparmio sul prezzo di mercato e altre caratteristiche come la qualità dei prodotti e la tempestività nella consegna, condizioni che l’hanno fatto propendere per un fornitore di un Paese black list.
Il transfer pricing è un espediente per cui i prezzi di vendita non corrispondono al valore delle merci o dei beni trasferiti, ma sono gonfiati per trasferire utili da paesi a elevata fiscalità verso paesi a bassa fiscalità (come i paradisi fiscali). L’autorità prevede sanzioni che non si applicano solo se i contribuenti collaborano con gli accertatori (Dl. 78/2010, art. 26), fornendo documentazione redatta secondo le indicazioni dell’Agenzia delle Entrate (provvedimento del 29 settembre 2010). Una volta a regime il contribuente dovrà comunicare anno per anno, in dichiarazione dei redditi, il possesso della documentazione sul transfer pricing, da consegnare in sede di verifica entro dieci giorni dalla richiesta. L’esterovestizione è la localizzazione all’estero fittizia della residenza fiscale di una società che invece ha l’attività e persegue l’oggetto sociale in Italia, per avere un regime fiscale più leggero. Una tattica efficace contro un’eventuale contestazione consiste nel fornire prove come lo svolgimento delle riunioni del consiglio di amministrazione all’estero, gli spostamenti dei consiglieri, bilanci redatti secondo le regole del Paese, costi sostenuti all’estero.