La Corte di Cassazione, con l’Ordinanza 2029/2014, ha stabilito un limite alle verifiche in banca sulle Srl, o meglio agli atti impositivi spiccati dopo i controlli fiscali presso le banche. Nel caso in cui il Fisco non dimostri la pertinenza all’azienda dei rapporti raccolti dalla Guardia di Finanza sul conto del socio, l’accertamento a carico della Srl basato su tali fatti deve essere annullato. Il caso esaminato riguardava il ricorso presentato dall’Agenzia delle Entrate contro la decisione con cui la Commissione Tributaria Regionale della Campania aveva annullato l’atto impositivo a carico di una Srl emesso sulla base di verifiche bancarie sui conti dell’amministratore della società.
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Onere probatorio
A tale scopo la Cassazione ha richiamato l’articolo 32 e 37 del Dpr 600/73 i quali, in tema di imposte sui redditi di società di capitali, prevedono che:
“L’utilizzazione dei dati risultanti dalle copie dei conti correnti bancari acquisiti dagli istituti di credito non può ritenersi limitata ai conti formalmente intestati all’ente, ma riguarda anche quelli formalmente intestati ai soci, amministratori o procuratori generali, allorché risulti provata dall’Amministrazione finanziaria, anche tramite presunzione, la natura fittizia dell’intestazione o, comunque, la sostanziale riferibilità all’ente dei conti medesimi o di alcuni loro singoli dati. Ne consegue in ordine alla distribuzione dell’onere probatorio che una volta dimostrata la pertinenza alla società dei rapporti bancari intestati alle persone fisiche con essa collegate, l’Ufficio non è tenuto a provare che tutte le movimentazioni che risultano da quei rapporti rispecchino operazioni aziendali, ma al contrario la corretta interpretazione dell’art. 32 del d.P.R. n. 600/73 impone alla società contribuente di dimostrare la estraneità di ciascuna di quelle operazioni alla propria attività di impresa”.
Questo significa che i controlli fiscali basati su indagini bancarie possono essere estese ai conti degli amministratori o soci della società e dei familiari del contribuente solo a patto che prima ne sia provata, anche tramite presunzioni, la riconducibilità all’attività del soggetto indagato. In più viene precisato che compete all’Ufficio l’onere di dimostrare la pertinenza alla società dei rapporti bancari intestati a terzi, anche sulla base di presunzioni.
Riferibilità dei conti
In questi anni i giudici della Cassazione hanno affermato, in varie sentente, che al fine di dimostrare la riferibilità al contribuente interessato dei conti intestati a terzi, hanno ritenuto sufficiente provare i seguenti elementi:
- l’assenza di disponibilità, da parte dei terzi, di redditi idonei a giustificare le movimentazioni dei conti;
- la rilevante entità delle operazioni bancarie eseguite, delle quali non viene fornita idonea giustificazione;
- la mancata risposta dei soggetti interessati alle richieste di chiarimenti formulate dall’ufficio;
- il reperimento delle distinte bancarie del conto corrente dell’amministratore nei locali dell’azienda;
- la circostanza che i conti correnti dei terzi non vengono movimentati dai soggetti intestatari;
- la presenza di qualsiasi altro elemento indiziario idoneo a dimostrare l’utilizzo dei conti dei terzi per occultare operazioni commerciali effettuate dal contribuente.
(Fonte: Ordinanza 2029/2014 – Cassazione).