I consulenti del lavoro sollecitano un chiarimento sulla possibilità di trasferire ai fondi di previdenza complementare l’intero trattamento di fine rapporto (non solo le quote che si maturano dopo l’adesione alla previdenza integrativa): l’approfondimento del 30 gennaio della Fondazione Studi analizza la legislazione applicabile, anche dal punto di vista fiscale, evidenziando la necessità di «affermare la legittimità del trasferimento del TFR pregresso anche per i soggetti per i quali oggi è custodito dal Fondo tesoreria INPS», anche in considerazione del notevole risparmio fiscale che è accessibile solo per i dipendenti di datori di lavoro con meno di 50 dipendenti, creando una disparità apparentemente ingiustificata.
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TFR pregresso ai fondi pensione
Il punto è il seguente: l’articolo 8 del dlgs 252/2005 ha introdotto per i dipendenti la possibilità di versare alla previdenza complementare il TFR, esprimendo la propria adesione entro sei mesi dall’assunzione. In questo caso, però, la scelta riguarda il TFR maturando e non quello pregresso. Successivamente l’Agenzia delle Entrate, con circolare 70/2007, ha stabilito che anche il TFR già maturato poteva essere destinato alla previdenza complementare senza costituire un’anticipazione del versamento dello stesso al lavoratore, quindi senza assumere rilevanza fiscale al momento del trasferimento.
L’importo del TFR pregresso – si legge – deve essere imputato alla posizione individuale e assoggettato a tassazione al momento dell’erogazione della prestazione pensionistica.
La successiva legge 244/2007 ha introdotto il comma 7-bis all’articolo 23 del Dlgs 252/2005, in base al quale le somme di TFR già maturate entro il dicembre 2006:
concorrono a incrementare convenzionalmente la posizione individuale in corrispondenza dei periodi di formazione del TFR conferito.
In parole semplici, questa legge ha risolto il problema per le quote di TFR maturate entro il dicembre 2006, lasciando però aperto il discorso per quelle successive.
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Accordo possibile
La COVIP, autorità che vigila sulla previdenza, ha poi previsto precise regole applicative, stabilendo ad esempio la possibilità di destinare il TFR pregresso al fondo di previdenza integrativa in base a un accordo fra lavoratore e azienda, nei casi in cui questo non fosse esplicitamente previsto dalla contrattazione collettiva. In pratica, ha considerato possibile questa operazione in base a un semplice accordo fra le parti.
Resta però il problema delle quote di TFR lasciate all’azienda successivamente al 31 dicembre 2006. La complicazione è determinata dal fatto che, in base alla legge 296/2006, comma 755, il TFR non si trova più nelle casse dell’azienda, ma viene depositato presso il Fondo di Tesoreria INPS per tutti i datori di lavoro privati con oltre 50 dipendenti.
Su questo, rilevano i Consulenti del Lavoro (citando anche una successiva risposta della COVIP del 2014 a un fondo di previdenza), sarebbe necessario un chiarimento dell’INPS. Secondo la Fondazione Studi, i fondamenti giuridici del versamento obbligatorio al fondo di Tesoreria INPS non sono in conflitto con il versamento del pregresso, che come detto non genera un’imposizione fiscale del montante trasferito.
Vantaggi fiscali: esempi
Vengono proposti infine esempi di calcolo per valutare la convenienza dell’operazione dal punto di vista fiscale. Ipotizzando un TFR accantonato dal 2007 al 2017 pari a 20mila euro, al netto di rivalutazione e imposte, la tassazione applicabile è l’aliquota media degli ultimi cinque anni. Ipotizzando un basso reddito, si applica quindi l’aliquota del 23%, contro il 15% che si applica alla previdenza complementare. Quindi, fra le due ipotesi c’è una differenza di 1600 euro (la tassazione al 23% comporta un’imposta di 4mila 600 euro, il 15% significa una tassa di 3mila euro).
Con un TFR più alto pari a 100mila euro ed un’aliquota media reddituale al 28%, la differenza fra le due tassazioni è pari a 13mila euro (tassa di 28mila euro sul TFR e di 15mila euro su capitale o rendita previdenza complementare).
Benefici a confronto
In conclusione:
- lasciare il TFR presso il datore di lavoro continua a essere una strada che garantisce maggiormente chi preferisce entrare in possesso del capitale alla cessazione del rapporto di lavoro,
- il versamento alla previdenza complementare è più vantaggioso fiscalmente.
=> RITA 2018, la nuova rendita pensionistica
I Consulenti del Lavoro sottolineano anche come la RITA (Rendita integrativa temporanea anticipata) introdotta dalla legge di Stabilità 2017 e resa strutturale dalla manovra 2018 per coloro a cui mancano cinque anni alla pensione, rappresenti una nuova possibilità di liquidare il capitale prima della pensione. E, in ultima analisi, sollecita un chiarimento sulla possibilità di versare ai fondi di previdenza complementare il TFR pregresso accantonato dopo il 2006.