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Fattura generica: preclusa la detrazione IVA

di Noemi Ricci

29 Novembre 2017 09:30

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La sentenza della Cassazione che chiarisce i limiti della detrazione IVA in fattura, subordinata alla specificità della stessa: cosa va obbligatoriamente indicato.

Con la sentenza n. 23384/2017 la Corte di Cassazione ha chiarito che non è possibile portare in detrazione l’IVA se la fattura è generica. Si tratta di un principio già espresso dalla Corte di Giustizia (Corte Giust., 15 settembre 2016, C-516/14), secondo cui la detrazione IVA in fattura è subordinata alla sua specificità, ovvero all’indicazione dell’entità e della natura dei servizi forniti dal prestatore, nonché della data di effettuazione dell’operazione.

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Nella sentenza si legge infatti che:

“La normativa unionale prescrive l’obbligatorietà dell’indicazione dell’entità e della natura dei servizi forniti (art. 226, punto 6 della direttiva n. 2006/112, di contenuto analogo all’omologa norma della sesta direttiva), nonché della specificazione della data (art. 226, punto 7) in cui è effettuata o ultimata la prestazione di servizi; ciò al fine di consentire alle amministrazioni finanziarie di controllare l’assolvimento dell’imposta dovuta e, se del caso, la sussistenza del diritto alla detrazione dell’IVA”.

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Il caso riguardava un contenzioso tra l’Agenzia delle Entrate ed una società che aveva portato in detrazione l’IVA riportata su una fattura caratterizzata da assoluta genericità, poiché priva delle specifiche indicazioni richieste dalla normativa di settore. Ad aggravare la situazione della società il fatto che, in sede di accertamento, non avesse detrazione allegato elementi integrativi idonei a dimostrare le condizioni per fruire della detrazione IVA.

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I giudici supremi hanno dato ragione all’Amministrazione finanziaria, ribadendo tra l’altro che l’onere probatorio, in sede di richiesta di rimborso dell’IVA a credito, incombe sul contribuente che deve allegare idonea documentazione:

“In tema di contenzioso tributario, il contribuente che impugni il rigetto dell’istanza di rimborso di un tributo riveste la qualità di attore in senso sostanziale. Di qui la duplice conseguenza che grava su di lui l’onere di allegare e provare i fatti a cui la legge ricollega il trattamento impositivo rivendicato nella domanda e che le argomentazioni con cui l’Ufficio nega la sussistenza di detti fatti, o la qualificazione ad essi attribuita dal contribuente, costituiscono mere difese, come tali non soggette ad alcuna preclusione processuale, salva la formazione del giudicato interno (Cass. 2 luglio 2014, n. 15026; sulla medesima linea, tra le più recenti, ord. 21 novembre 2016, n. 23587)”.

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