Con sentenza n. 43809 del 30 ottobre 2015, la Corte di Cassazione ha ridotto la contestabilità del reato tributario di esterovestizione: il caso è quello noto degli stilisti Dolce e Gabbana, assolti dalle accuse di elusione ed evasione fiscale perché il fatto non sussiste. In seguito alla cessione del marchio a una società lussemburghese gestita da una filiale milanese, gli imputati non avevano pagato né dichiarato le imposte sui guadagni derivanti dallo sfruttamento del marchio, ed erano incorsi nella condanna in Corte d’appello per omessa dichiarazione, esterovestizione ed elusione fiscale.
È opportuno ricordare che, secondo il comma 3 dell’art. 73 del TUIR, si considerano residenti quelle società che, per la maggior parte del periodo di imposta, hanno sede legale o amministrativa o l’oggetto principale nel territorio dello Stato. Il successivo comma 5-bis precisa che, “salvo prova contraria”, si considera esistente nel territorio dello Stato la sede dell’amministrazione delle società o degli enti che:
«(…) sono amministrati da un consiglio di amministrazione, o altro organo equivalente di gestione, composto in prevalenza di consiglieri residenti nel territorio dello Stato.»
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La sede dell’amministrazione:
«si identifica nel centro effettivo di direzione e svolgimento della sua attività, ove cioè risiedono gli amministratori, sia convocata e riunita l’assemblea sociale, si trovino coloro i quali hanno il potere di rappresentare la società, il luogo deputato o stabilmente utilizzato per l’accertamento dei rapporti interni e con i terzi in vista del compimento degli affari e della propulsione dell’attività dell’ente e nel quale, dunque, hanno concreto svolgimento le attività amministrative e di direzione dell’ente e ove operano i suoi organi amministrativi o i suoi dipendenti.»
Secondo i giudici, in caso di società con sede legale estera controllata ai sensi dell’art. 2359 cod. civ., non può costituire criterio esclusivo di accertamento della sede della direzione effettiva, l’individuazione del luogo dal quale partono gli impulsi gestionali o le direttive amministrative nel caso in cui esso si identifichi con la sede (legale o amministrativa) della società controllante italiana. In tal caso è necessario accertare anche che la controllata estera corrisponda a un’entità reale che svolge attività in conformità al proprio atto costitutivo o statuto. Per accertare la natura artificiosa della società estera si può fare utile riferimento ai criteri indicati dall’art. 162, D.P.R. n. 917/86 per definire la “stabile organizzazione” o a quelli elaborati dalla giurisprudenza comunitaria per identificare le società schermo, ovvero costruzioni puramente artificiose.
Si tratta comunque di procedure che attengono alla ricostruzione del fatto reato e che, in quanto tali, devono essere condotti dal giudice in modo autonomo, seguendo le regole del giudizio proprie del processo penale che non prevedono inversioni della prova a carico del contribuente, frutto del ricorso alle presunzioni fiscali. A ciò si aggiunga che, come più volte ribadito dalla Corte di Giustizia europea, le persone fisiche o giuridiche possono, in piena libertà, beneficiare di regimi fiscali favorevoli.
«È pienamente legittimo svolgere l’attività in altro Stato membro, anche a bassa fiscalità, purché la controllata abbia una propria sostanza” (causa C-196/04 del 12.09.2006).»
Per quanto riguarda la contestazione di abuso del diritto, i giudici hanno poi chiarito che in nessun caso le condotte elusive possono avere di per sé penale rilevanza estendendo il fatto tipico al di fuori dei limiti tassativamente individuati. Le condotte elusive di cui agli artt. 37 e 37-bis del DPR 600/73 non si identificano con il dolo di evasione che esprime un disvalore ulteriore tale da selezionale gli illeciti penalmente rilevanti da quelli che non sono tali, ne consegue che in nessun caso le condotte elusive possono avere rilevanza penale.