Una dichiarazione dei redditi si può correggere nel caso di errori, non se il contribuente ha esercitato un’opzione, come l’adeguamento agli studi di settore: in questa situazione, il Fisco può legittimamente emettere la cartella esattoriale relativa alla scelta del contribuente, che non è emendabile. Lo ha stabilito la Corte di Cassazione, con sentenza n. 19410/2015, in relazione a un caso complesso di un contribuente che ha rettificato per due volte la dichiarazione redditi.
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In pratica, il contribuente aveva prima rettificato una dichiarazione del 2001, con una dichiarazione integrativa nel 2002, in cui si conformava agli studi di settore, aumentando i ricavi precedentemente dichiarati. Non pagava, però, le relative tasse aumentate, ma successivamente, presentava una seconda dichiarazione correttiva, per annullare la precedente scelta, dichiarando quindi di non voler integrare i ricavi registrati per adeguarsi agli studi di settore.
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Ebbene, la Cassazione ha dato ragione all’Agenzia delle Entrate, che ha continuato ad avanzare la pretesa tributaria legata all’adeguamento agli studi di settore, senza considerare la terza correzione del contribuente. Motivazione: la seconda dichiarazione, quella con cui il contribuente sceglieva l’applicazione degli studi di settore «non integrava una mera dichiarazione di scienza, emendabile nei modi e termini di legge, ma una dichiarazione negoziale, implicante l’esercizio di un’opzione offerta dal legislatore», effettuando una scelta che non è obbligata, e non è neppure emendabile, «con conseguente inefficacia della terza dichiarazione presentata, correttiva della seconda».
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Questa interpretazione delle Entrate viene accolta dalla Cassazione, che fra l’altro aggiunge:
«Se vi è stata inizialmente indicazione di un valore del reddito d’impresa, congruo rispetto agli studi di settore, frutto evidentemente di una precisa scelta manifestata dalla compilazione di una voce specifica del modello di dichiarazione fiscale e dall’indicazione di maggiori ricavi, non dichiarati inizialmente (nell’originaria dichiarazione dei redditi), la contribuente avrebbe dovuto dimostrare, nel contestare l’atto impositivo notificatogli dall’Amministrazione finanziaria, l’errore commesso nella propria dichiarazione correttiva (quella del 2002)».
In particolare, la contribuente avrebbe dovuto chiarire in che cosa era consistito l’errore intervenuto con la seconda correzione della dichiarazione, non limitarsi ad affermare genericamente che si è trattato di un errore di software. Non solo: la prova della rilevanza dell’errore deve soddisfare entrambi i requisiti della essenzialità e della obiettiva riconoscibilità.
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