È sufficiente la causale dell’accredito in banca per richiedere la condanna dell’imprenditore per operazioni inesistenti: quindi, anche se le fatture non sono rinvenute in copia cartacea o registrate, ma rilevate dalle operazioni sui conti correnti della società e indicate quindi come emesse, può scattare l’applicazione della sanzione prevista dalla legge.
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A precisarlo è la Cassazione con la sentenza n. 5247/23, che richiama il reato citato nell’Articolo 8 del Dlgs 74/2000: viene punito con la reclusione da quattro a otto anni chiunque, al fine di consentire a terzi l’evasione delle imposte sui redditi o sul valore aggiunto, emette o rilascia fatture o altri documenti per operazioni inesistenti.
Per emettere la condanna, quindi, possono essere prese in considerazione non solo le fatture ma anche altri documenti che abbiano rilievo probatorio analogo, tra cui rientrano le ricevute fiscali, le ricevute per le spese sanitarie, le schede carburanti e altro ancora.
In tema di reato di dichiarazione fraudolenta mediante uso di fatture o altri documenti per operazioni inesistenti, rientrano nella nozione di documenti quelli aventi, ai fini fiscali, valore probatorio analogo alle fatture, tra cui le ricevute fiscali e simili nonché quei documenti da cui risultino spese deducibili dall’imposta, come, per esempio, le ricevute per spese mediche o per interessi sui mutui e le schede carburanti.”
Con la sentenza, pertanto, i Giudici hanno disposto la condanna a due anni e sei mesi di reclusione per l’Amministratore di tre società per fatture relative a operazioni inesistenti.