Reverse charge esteso agli appalti a prevalente utilizzo di manodopera: è una delle novità previste dal decreto fiscale allegato alla manovra 2020, in vigore dallo scorso 27 ottobre. La misura ha l’obiettivo di contrastare le frodi e l’evasione IVA, ed è contenuta nell’articolo 4 del dl 124/2019, che va a modificare l’articolo 17, comma 6, del dpr 633/1972, inserendo gli appalti sopra citati fra le operazioni soggette a reverse charge.
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L’inversione contabile prevede che a versare l’IVA sia direttamente il committente: in pratica, l’impresa a cui va l’appalto emette la fattura senza l’IVA, perché tutti gli obblighi relativi all’imposta sul valore aggiunto sono del committente.
Il meccanismo assicura che sull’operazione venga effettivamente versata l’IVA, evitando che il committente porti in detrazione l’imposta che il cedente non provvede a versare all’erario.
Il reverse charge è già previsto per una serie di operazioni (opere di pulizia, demolizione, installazione di impianti e completamento edifici, subappalti in edilizia), ora viene esteso agli appalti ad alta densità di manodopera.
Nel dettaglio, la norma prevede che si applichi alle prestazioni di servizi “effettuate tramite contratti di appalto, subappalto, affidamento a soggetti consorziati o rapporti negoziali comunque denominati caratterizzati da prevalente utilizzo di manodopera presso le sedi di attività del committente con l’utilizzo di beni strumentali di proprietà di quest’ultimo o ad esso riconducibili in qualunque forma”.
Quindi, si legge nella relazione tecnica sul decreto, le operazioni “verranno fatturate dalle imprese senza l’applicazione dell’IVA e di conseguenza il committente integrerà la fattura dell’imposta secondo l’aliquota prevista per la prestazione, imputandola a debito e quindi portandola in detrazione se spettante”. Fanno eccezione le operazioni effettuate verso pubbliche amministrazioni, enti e società soggetti allo split payment, e alle agenzie per il lavoro.
La norma vuole “contrastare l’illecita somministrazione di manodopera” attraverso la costituzione di false cooperative e false imprese alle quali affidare i lavori per evadere l’IVA e non pagare le ritenute fiscali sul lavoro. In pratica, spiega la relazione tecnica, queste frodi avvengono nel seguente modo:
le finte cooperative e le finte imprese interposte non versano le ritenute sui redditi dei lavoratori e l’IVA e conseguentemente possono realizzare l’attività economica a un costo inferiore a quello che verrebbe sostenuto dal committente.
Queste finte società non sono patrimonializzate, e “dunque non aggredibili con la riscossione coattiva”, nel senso che il Fisco non riesce a recuperare le somme evase. L’entrata in vigore del reverse charge, però, è subordinata al rilascio di una specifica autorizzazione da parte dell’Unione europea, perché si tratta di una deroga alle direttive comunitarie sull’IVA.
L’articolo 4 dl decreto fiscale contrasta anche il mancato versamento delle ritenute sul lavoro, prevedendo che in caso di affidamento di un servizio o di un’opera a un’impresa, sia il committente a versare le ritenute sui redditi di lavoro dipendente e assimilati, e le addizionali regionali e comunali. C’è anche il divieto di effettuare compensazioni. In base ai calcoli del Governo, queste norme dovrebbero consentire un extra-gettito pari a 713 milioni annui.