Importante precisazione dalla Corte di Cassazione, terza sezione penale, con la sentenza n. 36309/2019 in merito al rapporto tra misure cautelari reali e giudizio tributario: se la sentenza non è definitiva, anche se la cartella di pagamento viene annullata dalla Commissione tributaria per vizio formale, la pretesa erariale non viene invalidata e dunque il sequestro preventivo del presunto profitto, operato in sede penale, resta legittimo.
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Solo un provvedimento di sgravio dell’ente impositore potrebbe giustificare l’annullamento della misura cautelare, rappresentando la rinuncia al tributo che, nel caso esaminato riguardava un omesso versamento IVA per il quale, in base all’articolo 10 ter del Dlgs n. 74/2000, era stato disposto il sequestro per equivalente dei beni dell’indagato, legale rappresentante di una società di capitali.
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Dopo aver ottenuto l’annullamento, per vizio formale, della cartella di pagamento con sentenza non definitiva della Commissione tributaria, a seguito al rigetto dell’istanza di revoca, totale o parziale, della misura cautelare da parte del Gip, l’indagato proponeva appello al Tribunale quale giudice del riesame. Appello che veniva respinto, per cui la questione è stata portata all’attenzione dei giudici di legittimità.
Gli Ermellini hanno a loro volta respinto il ricorso chiarendo che, in caso di sentenza non definitiva e di mancato provvedimento di sgravio fiscale emesso dall’Agenzia delle Entrate, permane la piena legittimità del mantenimento del sequestro preventivo funzionale alla confisca per equivalente sui beni dell’indagato.
In sostanza, anche se l’avviso di accertamento o la cartella vengono annullati, il debito resta e dunque la misura cautelare può essere revocata soltanto con la cancellazione della pretesa da parte del Fisco.