La legge 23 dicembre 2014, n. 190 (Stabilità 2015) ha modificato il DPR 633/1972, introducendo l’art. 17-ter, recante il meccanismo dello split payment. In pratica, per le cessioni di beni e per le prestazioni di servizi effettuate nei confronti di Stato ed enti pubblici, l’imposta è versata dai questi ultimi: al fornitore verrà pagato il compenso; all’Erario verrà versata l’IVA.
Lo split payment punta a evitare frodi e incrementare il gettito IVA, ma di fatto ha comportato grosse difficoltà alle imprese
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Alle imprese lo split payment non ha dato alcun beneficio. Anzi, si potrebbe dire che a primo impatto abbia causato notevoli difficoltà operative. Da un lato, infatti, le imprese hanno dovuto adattare procedure contabili e software, molti dei quali non prevedevano la scissione dei pagamenti. Dall’altro, l’introduzione del meccanismo dell’inversione contabile ha favorito l’insorgenza di rilevanti crediti d’imposta soprattutto nei confronti di PMI che forniscono beni o erogano servizi in prevalenza alle amministrazioni pubbliche.
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Per non contare le sanzioni. Per le forniture di beni e servizi effettuate nei confronti delle pubbliche amministrazioni i fornitori devono emettere fattura con l’indicazione “scissione dei pagamenti” o “split payment”. Qualora la fattura non contenga tale indicazione è applicabile la sanzione amministrativa da 1.000 a 8.000 euro di cui all’art. 9, comma 1, del D.Lgs. n. 471 del 1997.
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