Tante idee ma confuse. I progetti buttati sul tavolo del governo, destinati a formare la nuova Legge di Stabilità, sono già visti e rivisti nei governi precedenti. E laddove non sono proprio uguali, sembrano essere una copia di pessimo stampo. Quanto a fattibilità, poi, non ne parliamo. Siamo in pieno periodo elettorale e l’obiettivo è, come al solito, stupire, acquisire consensi, alimentare popolarità. Si riprende a parlare di pensioni e dell’introduzione dell’Ape, di tagli all’IRPEF e dell’ipotesi di ridurre a 2 le aliquote ad oggi esistenti, di imprese e di famiglie.
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Dopo la promessa del bonus 80 euro ai pensionati si ritorna a parlare di pensioni, mirando ai soggetti nati tra il 1951 e il 1953. Nel 2017, stando agli obiettivi di governo, arriverà l’Ape. L’acronimo sta per Anticipo Pensione. I lavoratori che oggi hanno un’età compresa tra i 63 e i 65 anni potranno scegliere di andare in pensione purché rinuncino ad una parte di assegno in misura proporzionale agli anni di anticipo. E’ il risultato del talento creativo di Matteo Renzi: prendere di mira i lavoratori più sfigati, come li ha definiti lui, che già si sono visti allungare gli anni di permanenza al lavoro e invitarli ad accomodarsi alla porta previo abbattimento dell’assegno pensionistico.
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C’è, poi, l’ipotesi di taglio alle aliquote IRPEF. L’idea è quella di limare le aliquote centrali. Ma occorrono tre miliardi. Altra possibilità è quella di ridurre gli scaglioni Irpef da 5 a 2. Idea improponibile questa, tenendo conto che un’operazione del genere costerebbe all’Erario una somma compresa tra 38 e 45 miliardi. Attualmente l’imposta sul reddito delle persone fisiche prevede l’applicazione di cinque aliquote in base a differenti scaglioni di reddito:
- fino a 15.000 euro l’aliquota è del 23%;
- da 15.001 a 28.000 euro l’aliquota è del 27%;
- da 28.001 a 55.000 euro l’aliquota è del 38%;
- da 55.001 a 75.000 euro l’aliquota è del 41%;
- da 75.001 euro l’aliquota è del 43%.
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Si ritorna a parlare di Jobs Act poiché nei prossimi provvedimenti si punterà ancora una volta a spingere il mercato del lavoro. Certamente è imbarazzante per Matteo Renzi riprendere nuovamente il tema sul lavoro dopo che nell’ultima Legge di Stabilità l’ha letteralmente azzoppato tagliando la decontribuzione sui contratti stabili. La proposta è la solita minestra riscaldata: taglio di 4 o 6 punti dei contributi previdenziali in capo a lavoratori e datori di lavoro.