Il solo ed unico responsabile della correttezza dell’aliquota Iva è chi la emette, a prescindere dalla presenza di eventuali informazioni o dichiarazioni fornite dal cessionario che non rispondono a requisiti di completa veridicità .
A stabilirlo è stata la Corte di Cassazione, che si è pronunciata sull’argomento ben due volte nel 2012.
Con le sentenze 3291 e 3167 emesse quest’anno il massimo organo giurisdizionale ha infatti specificato che l’esecuzione di operazioni imponibili ai fini Iva si traduce di fatto nella nascita di due rapporti giuridici differenti, autonomi l’uno dall’altro: relativamente all’imposta, si instaura infatti un rapporto tributario tra il fisco e il cedente; parallelamente, poi, si instaura anche un rapporto di natura civilistica tra cedente e cessionario.
Nel primo caso ad essere “soggetto passivo” rispetto al fisco è solamente il cedente che, per via di ciò, è anche l’unico responsabile, avendo obbligo di verificare la posizione dei terzi con i quali stringe accordi commerciali, ivi inclusa la veridicità delle loro dichiarazioni o affermazioni. Nel secondo caso, invece, la Corte ha specificato che la legge prevede l’obbligo di rivalsa dal cedente al cessionario, ma in nessun caso il divieto di chiedere al cessionario l’eventuale maggiore Iva pagata in seguito all’accertamento tributario.
La sentenza chiarisce così in modo definitivo due aspetti fino all’anno passato passibili di dubbio: il rapporto con il fisco a livello penale, per ciò che riguarda l’Iva, è sempre bi-univoco: una terza parte non è in alcun modo responsabile di errori nella corresposizione delle aliquote; a livello civile, invece, le due parti possono litigare e farsi la guerra quanto e come vogliono: l’importante, per il fisco, è che prima si paghi, e solo successivamente si accertino le singole responsabilità .