No alla procedura di regolarizzazione dell’Iva se il contribuente effettua fatture per operazioni inesistenti. Lo ha deciso la Corte di Cassazione con una sentenza emessa il 18 novembre 2011, secondo cui il contribuente è tenuto a provare la buona fede in caso venga accusato di effettuare operazioni commerciali elusive.
Del resto sarebbe strano il contrario, ossia che avvenga una rettifica su un’operazione che di fatto non è mai avvenuta. L’operazione viceversa, come specifica l’art. 26 del dpr del 6 ottobre 1962, deve essere “vera e reale e non già del tutto inesistente“. Motivo per cui, se viene emessa fattura per operazioni inesistenti, l’imposta è dovuta per l’intero ammontare indicato o corrispondente alle indicazioni della fattura.
Nel caso specifico, la Corte ha esaminato un caso relativo all’Iva Infragruppo: nella procedura di liquidazione dell’imposta una società aveva emesso fatture inesistenti nei confronti di un’azienda collegata, stornandole poi tramite l’emissione di note di credito di pari importo e contabilizzando fatture passive false che venivano stornate a loro volta con le note di credito ricevute. Insomma, un giro contabile sicuramente non effettuato in buona fede e creato all’evidente scopo di sottrarsi al pagamento delle imposte. Una ragione più che valida per mettere dei paletti alla regolarizzazione dell’Iva.