Si chiamano corporate tax losses, e sono le perdite di esercizio utilizzate come opportunità per non versare le imposte al Fisco. Le società che si affidano a questa pratica, originariamente concessa dai governi per supportare le proprie imprese in momenti di crisi, sono ormai sempre più frequenti.
Una recente indagine condotta dall’Ocse mostra come il valore delle corporate tax loxes portate a detrazione delle imposte negli anni successivi nel mondo sia aumentato nell’80% dei casi dal 2000 ad oggi. In Italia, in particolare, dagli 8 miliardi di euro del 2004 si è saliti ai 18 miliardi l’anno successivo, per arrivare a 25 miliardi nel 2006 e superare i 31 miliardi nel 2007.
La Manovra finanziaria 2011-12 recentemente introdotta stabilisce dunque numerose misure in materia di lotta all’evasione piuttosto incisive, alcune delle quali pensate proprio per ridurre il fenomeno delle imprese in perdita “sistemica”: basandosi su specifiche attività di monitoraggio, Guardia di Finanza e Agenzia delle Entrate assicureranno una vigilanza sistematica sulle imprese che presentano dichiarazioni in perdita fiscale, non determinata da compensi erogati ad amministratori e soci, per più di un periodo d’imposta, e che non abbiano deliberato nello stesso periodo uno o più aumenti di capitale a titolo oneroso di importo almeno pari alle perdite fiscali stesse.
Avere una impresa in perdita fiscale per tre esercizi consecutivi sarà dunque condizione sufficiente a legittimare l’attività di accertamento da parte degli organi di controllo.
Del resto le perdite operative delle imprese possono ridurre notevolmente il gettito fiscale dei Governi: secondo quanto si legge nel rapporto dell’Ocse, in alcuni casi gli importi delle corporate tax losses possono incidere fino al 25% del prodotto interno lordo di uno Stato.