Chi tiene i conti in ordine ha buone probabilità di evitare il temibile accertamento induttivo da parte del fisco, di recente legittimato dalla Cassazione per le più varie motivazioni. In presenza di una contabilità “formalmente regolare” e in assenza di altri elementi o indizi di evasione, secondo quanto si legge nella motivazione della sentenza 11985, l’accertamento è infatti da considerarsi illegittimo.
Il caso esaminato dalla Corte si riferisce in particolare a una srl che, nel biennio ’97/’98, aveva subito un accertamento per avere intrattenuto rapporti con una “cartiera”, ossia una società dedita all’emissione di fatture per operazioni inesistenti. Ad essere contestati dal contribuente sono stati però ulteriori accertamenti relativi ai due anni precedenti, nonostante per quel periodo si fossero riscontrate una contabilità regolarmente tenuta e l’assenza di operazioni effettuate con la società cartiera.
Il fisco però aveva ritenuto di procedere ugualmente all’accertamento dei redditi dichiarati tramite un controllo indiretto dei ricavi della società , effettuato mediante un confronto tra la percentuale di ricarico sui prezzi di vendita applicata dall’impresa e le percentuali di ricarico medio del settore. Tali percentuali, che indicano in sostanza l’eventuale scostamento tra i ricavi dell’azienda e quelli medi del suo settore di appartenenza, non sono state ritenute però dalla Corte un elemento sufficiente per legittimare un accertamento induttivo sul reddito dell’impresa.
La decisione della Suprema Corte contraddice così un orientamento ormai abbastanza consolidato presso i giudici secondo il quale anche in presenza di una contabilità tenuta in maniera regolare l’ufficio potesse comunque procedere con l’accertamento: solo il tempo dirà se gli ermellini hanno voluto cambiare la direzione di marcia o se si tratti invece della classica eccezione che conferma la regola.