Nonostante la terminologia utilizzata sia relativamente recente, non sarà difficile rendersi conto che nella storia dell’umanità il ruolo del project manager sia stato ricoperto (magari inconsapevolmente) già nelle antichissime civiltà. Si pensi, ad esempio, alla costruzione della Sfinge, la famosa statua in pietra risalente al 2.500 a.C., e simbolo della antica civiltà egiziana. Il suo ideatore, il leggendario faraone Chefren, fu colui il quale, a quel tempo, ricoprì il ruolo del project manager. Non c’è dubbio che un simile progetto, secondo i moderni standard, sarebbe stato considerato un progetto a lungo termine.
Nonostante i tanti interrogativi, ancor oggi non del tutto risolti, sulla Sfinge è certo che la sua creazione non fu certo figlia dell’improvvisazione: era, indubbiamente, ben chiara la visione (vision) del suo ideatore relativamente a cosa la Sfinge avrebbe dovuto rappresentare e a quale sarebbe dovuto essere il suo aspetto finale. Allo stesso modo, Chefren avrà pianificato (plan) un certo numero di persone che, in un certo lasso di tempo, sarebbero stati adibiti alla costruzione della Sfinge. Probabilmente poi, una parte delle risorse sarà stata impegnata nel costruire una parte piuttosto che un’altra, cercando di ottimizzare i tempi per il completamento dell’opera
Facendo un balzo di parecchie migliaia di anni in avanti, Frederick Taylor (1856-1915), ingegnere industriale statunitense, iniziò nei primi anni del 1900 i suoi studi sulla ricerca dei metodi per il miglioramento dell’efficienza nella produzione. Fino ad allora, si riteneva che l’unico modo per incrementare la produttività fosse quello di far lavorare le risorse per più tempo e più duramente. Taylor stravolse questa teoria, dimostrando che l’obiettivo di un progetto poteva essere raggiunto più facilmente migliorando semplicemente il processo utilizzato per il raggiungimento dell’obiettivo stesso.
Negli stessi anni, Henry Laurence Gantt (1861-1919), ingegnere meccanico, studiò il modo per ottimizzare la sequenza di lavori necessari alla costruzione della flotta navale, durante la prima guerra mondiale. I suoi grafici (Gantt charts), e i milestones markers, sono ancora oggi diffusamente utilizzati dai moderni project manager.
Negli anni ’40, la sempre crescente complessità dei progetti indusse gli studiosi ad introdurre nuovi strumenti che facilitassero la gestione dei progetti. Nacquero così i grafici PERT (PERT charts) e il metodo del percorso critico (critical path method, spesso identificato dall’acronimo CPM). Attraverso queste metodologie fu più facile, per i manager, gestire progetti estremamente complessi legati, ad esempio, alle esigenze militari.
Fu nei primi anni ’60 che si iniziò a considerare il project management una vera e propria disciplina. Da allora in poi fu un susseguirsi di nuove teorie, metodologie e standard tutti volti a migliorare la gestione dei sistemi, ampliando le conoscenze su concetti fondamentali come le strategie di business, i cambiamenti organizzativi e le relazioni interpersonali. La tendenza che prendeva sempre più piede era quella che riteneva possibile far crescere la complessità dei progetti, puntando su un uso oculato delle risorse e su una qualità finale sempre migliore, senza mai trascurare la necessità di riuscire a mantenere i costi bassi.
Tuttavia, nonostante i progressi sopra descritti, fino a soli 10 anni fa quello del project manager veniva ancora spesso considerato un ruolo non importante o, comunque, non fondamentale nella riuscita di un progetto. Non di rado, infatti, venivano spese cifre astronomiche e impiegati tempi lunghissimi per sviluppare progetti senza alcun utilizzo di strumenti, tecniche e metodologie che aiutassero a dare una buona stima di fattori determinanti come tempi, costi e gestione dei rischi.
Nell’ultima decade, finalmente, il ruolo del project manager viene considerato cruciale e fondamentale per la riuscita di un progetto dando vita ad una richiesta sempre crescente di figure professionali di tal genere in tutto il mondo sia nel settore pubblico sia in quello privato.