Nozioni pratiche e procedure organizzative, pur derivando dall’esperienza accumulata e pur con molte sfumature solitamente condivise, necessitano di una formalizzazione. Un esempio su tutti, le linee guida che prendono spunto dalle Best Practice definite nel Information Technology Infrastructure Library, meglio note come ITIL, giunte alla versione 3 – (ITIL v3 – 2007) ratificata dall’ISO (Institute of Standard Organization), che raccoglie suggerimenti e miglioramenti evidenziati nel tempo, man mano che i case study si sono moltiplicati.
Fine ultimo di ITIL è definire modalità, metodologie e parametri di misura su cui basare la qualità nella fornitura di servizi, tenendo conto dei processi e strumenti.
Gli obiettivi
Nato negli anni ’80 nel Regno Unito, dove si diffonde a partire dal decennio successivo, ITIL si è poi imposto in tutta Europa come criterio per migliorare la qualità dei servizi offerti, e da poso sta prendendo piede anche in Italia, anche se con una certa fatica.
I capitoli in cui viene suddiviso hanno precise connotazioni e si riferiscono all’intero ciclo di vita del servizio (service lifecycle): Service Strategy, Service Design, Service Transition, Service Operation, Continual Service Improvement.
Come è normale aspettarsi per uno strumento così formale, non manca la consueta scaletta di certificazioni il cui scopo è attestare la competenza e la professionalità di chi si propone per fornire un supporto in questo ambito. Esistono inoltre numerose pubblicazioni che forniscono informazioni e criteri di applicazione diretta o mirate al raggiungimento delle certificazioni stesse.
La terminologia
Uno degli aspetti chiave di questo criterio è la scelta di una terminologia comune per rendere meno ambigua la comunicazione tra clienti e fornitori, intesi in senso ampio: per ogni lemma e concetto identifica un significato concordato ed inequivocabile.
Per quanto risulti difficile abolire il proprio “gergo” sviluppato nel tempo, il vantaggio appare subito evidente quando si pensa di dover interagire con differenti attori o clienti e fornitori di servizi IT. Con troppa frequenza si incontrano professionisti che utilizzano termini talmente tecnici da risultare incomprensibili, offrendo spesso il fianco a critiche legate alla fumosità dei concetti espressi: ben venga quindi un linguaggio comune che consente la comprensione immediata.
Poiché un’azienda opera in contesti dinamici che spesso chiamano al cambiamento, non è infrequente che si aprano “crisi” tra le sue strutture interne, al fine di rivedere l’assetto e perseguire il core business. Non per nulla il termine greco originale significa decisione, lotta, cambiamento: non presagisce nulla di semplice e scontato!
E’ prassi comune allargare i significati dei termini “cliente” (fruitore finale) e “fornitore” (erogatore di beni e servizi) per semplificare i flussi aziendali, siano essi informativi o di prodotto e servizio: ogni dipartimento aziendale è cliente e fornitore di un altro dipartimento interno all’azienda.
La comunicazione
In una organizzazione, tutti gli hanno tra loro gli stessi obblighi e responsabilità che ha l’azienda verso i clienti e fornitori esterni: da qui, la necessità di definire aspetti formali per ciascuna attività, per ottimizzare l’utilizzo delle risorse e rendere misurabili i parametri di successo/insuccesso di ciascuna singola attività, ai fini di accrescere le capacità dell’azienda di sapersi migliorare, ovvero di operare in regime di Qualità (TQM – Total Quality Management). La conseguenza immediata è la nascita di una concorrenza interna nell’azienda.
Il “cliente” ha l’obbligo operativo di selezionare il fornitore che gli garantisce i migliori risultati, al fine di massimizzare le proprie performance. Questo può essere un forte elemento di incentivazione e contribuire alla creazione di un volano di continui miglioramenti.
Tutto questo solo se il management è in grado di coglierne le potenzialità: se incapace o debole causa conflitti, con il rischio di un’emorragia degli elementi di maggiore capacità, competenza e professionalità.
Il “fornitore“, invece, deve misurare le proprie attività e confrontarsi con gli altri per migliorare le proprie prestazioni. L’adozione di Good Practice (Metodo Corretto) è il primo criterio da adottare per ottenere i risultati sperati.
Diventa quindi imperativo definire in modo chiaro e formale il contesto in cui ci si muove e i meccanismi di comunicazione più adatti, nonostante definire queste interfacce non sia facile considerate le numerose variabili che intercorrono nel rapporto cliente/fornitore.
Gli attori
Analizziamo ora gli attori che si muovono in questo scenario.
- Cliente (Customer): chi commissiona e paga per fornire uno o più servizi IT;
- Utente (User): chi utilizza il servizio offerto;
- IT Service Management: chi garantisce la qualità del servizio in oggetto.
Il cliente concorda con il fornitore il livello (di qualità) del servizio in termini di obiettivi da raggiungere, tramite una serie di parametri misurabili (ad esempio, la percentuale garantita di disponibilità di un servizio attivo 24h7) che, se non soddisfacenti, fanno scattare penali correlate alla gravità del danno causato.
Un fornitore di servizi IT, spesso definito (IT) Service Provider è un’organizzazione che eroga servizi a uno o più clienti, interni o esterni. ITIL Distingue tre tipologie: Internal Service Provider (Tipo I); Shared Service Unit (Tipo II); External Service Provider (Tipo III).
Il Service Provider di Tipo I eroga servizi esclusivamente al Customer. Il Service Provider di Tipo II fornisce servizi anche allo User mentre il Tipo III interagisce esclusivamente con lo User.
Un subfornitore/partner (Supplier) viene utilizzato dal Service Provider per approvvigionarsi di strumenti necessari per l’erogazione dei servizi. Pensiamo ad esempio ai rivenditori hardware e software, i carrier di telefonia, gli out-sourcer.
Nella scelta dei subfornitori si deve ricorrere a criteri di selezione, per non cadere nella tentazione di puntare al mero valore economico. Ad esempio: analisi della gestione delle competenze ricercate/disponibile; organizzazione del supporto/consulenza; selezione di fornitori di hardware e software; scelta/disponibilità di staff temporaneo; analisi e gestione della sicurezza.
In questi pochi paragrafi abbiamo introdotto ITIL, ovvero le Best Practice da far proprie se l’obiettivo che stiamo perseguendo è l’erogazione di un servizio di qualità, dove il termine qualità per ora ha un’accezione intuitiva. Per essere resa misurabile e quindi migliorarla, si parte proprio dalla condivisione di una terminologia comune.