L’obiettivo “manager al più presto” è l’idea sempre più radicata fra i giovani laureandi, ma voler fare il manager è assai diverso dall’essere un buon manager. Spesso, queste figure si rendono persino responsabili di fallimenti, perdite aziendali, demotivazione e stress delle proprie risorse. Diventati manager troppo in fretta o solo grazie a conoscenze piuttosto che per meriti, possono fallire il proprio obiettivo per inesperienza, mancanza di equilibrio o di buon senso, causato dal desiderio di mantenere e aumentare il proprio potere dentro e fuori l’organizzazione.
Per comprendere le reali cause della potenziale inefficienza e inadeguatezza, abbiamo intervistato un’esperta, Désirée Renault, psicologa e psicoterapeuta che lavora da anni in azienda nell’area Risorse Umane, occupandosi di selezione, formazione e sviluppo del personale. Con il suo aiuto sarà possibile analizzare le motivazioni del frequente insuccesso di un ruolo di gestione considerato prestigioso, e quindi ambito.
Il manager ideale
Per tracciare un profilo dei manager attuali, ci spiega la dott.ssa Renault, è necessario distinguere tra top e middle management e sebbene le tematiche affrontate possano essere estese a entrambi, è più efficace tracciare un profilo dell’ultimo.
Il manager è colui che padroneggia le cinque attività evidenziate da Fayol nei primi anni del secolo scorso: programmazione, organizzazione, comando, coordinamento, controllo.
Inoltre deve essere il coach delle proprie risorse, incoraggiandole, sostenendole, permettendogli di sviluppare ed esprimere le loro capacità, costruendo insieme un sentiero di crescita professionale e di carriera. Al tempo stesso, deve saper costruire un team coeso ed efficiente, creando un clima di fiducia reciproca che rappresenta l’elemento fondante di qualsiasi relazione tra persone.
Il manager dovrebbe essere in grado di relazionarsi in modo efficace, gestendo in modo emotivo le proprie risorse, al fine di entrare in empatia con loro. Attraverso uno stile partecipativo, deve coinvolgere, motivare e sollecitare il consenso attivo, lasciando spazio di espressione alle singole personalità.
Come conseguenza, i collaboratori risultano motivati e ne beneficia l’azienda che, grazie alle persone che la compongono, raggiunge gli obiettivi pianificati e sopravvive all’interno del mercato. Infatti, non è solo importante la qualità delle Risorse-Persone ma anche la qualità di come le Risorse-Persone vengono gestite e orientate al raggiungimento degli obiettivi aziendali.
Infine, il manager deve possedere un buon livello di consapevolezza di sé, per gestire adeguatamente le diverse personalità, senza lasciarsi confondere dalle proprie esperienze personali. In sintesi quindi il manager deve possedere le conoscenze (sapere le cose) e le capacità di fare (saper fare), mettendo in atto comportamenti coerenti e finalizzati al contesto e alle persone (deve saper essere).
I manager in azienda
In realtà, nelle aziende si evidenzia un profilo manageriale assai diverso: in Italia ed Europa (salvo rare eccezioni) la presenza femminile in posizioni di gestione è molto bassa, per cui il tipico manager si configura come un uomo tra i 30 e 40 anni, generalmente laureato e, secondo la dott.ssa Renault, spesso con un grande bisogno di potere, di emergere.
Questa tipologia preponderante di manager vuole distinguersi, contare, lasciare la propria impronta. Desidera il successo e, per ottenerlo, scende a compromessi con se stesso e non esita a calpestare chiunque impedisca il suo cammino. Ed è ovviamente disposto a sacrificare gran parte della sua vita affettiva e di relazione extra professionale. Emerge quindi il profilo di una persona competitiva in cui è forte l’esigenza di controllare gli altri e assoggettarli a sé.
Tuttavia, queste inclinazioni evidenziano la carenza di una sana affermazione di sé (“io sono, quindi posso”), stravolgendone il concetto(“io posso, quindi sono”): è questo ciò che attrae tanti giovani professionisti, essere subalterni per il minor tempo possibile e arrivare velocemente al successo illudendosi di potersi realizzare solo diventando dei manager.
L’illusione del ruolo
In realtà questo è l’esempio che gli adulti stanno dando ai giovani: l’adulto-manager si identifica con il ruolo sostituendolo alla piena espressione e affermazione di sé, comportandosi secondo quanto richiesto dall’incarico ricoperto. Quanto maggiori saranno potere, soldi, successo, visibilità e prestigio ottenuti, tanto maggiore sarà la percezione di potenza e di affermazione della propria esistenza.
Inoltre, i mass media rinforzano questi falsi modelli, diffondendo messaggi di realizzazione personale mediati da posizioni di rilievo e prestigio. È quindi naturale che, con questi esempi, le nuove leve che si affacciano al mondo del lavoro aspirino a diventare dei manager: vogliono soldi, successo e prestigio per dimostrare di esistere. Quanto più sano e utile sarebbe avere dei maestri che indichino la strada da seguire per realizzarsi prima di tutto come persone!
Le cause
Da dove nascono il bisogno di potere e di emergere a tutti i costi, spesso causa di comportamenti manageriali inadeguati e scarsamente funzionali al raggiungimento degli obiettivi aziendali? Il bisogno di potere nasce in genere nella storia familiare e sociale della persona e va a sostituire la percezione della propria Potenza espressa da “io sono e quindi posso”. Ottenere il potere espresso da “io posso e quindi sono” diventa perciò un obiettivo di vita che dà l’illusione di potersi realizzare.
In realtà, un sano processo realizzazione dovrebbe consentire a ciascuno di costruire una profonda fiducia nelle proprie capacità, trovando il proprio personale modo di affermarsi attraverso le proprie potenzialità.
Ricostruire questa fiducia di sé e riportarsi all’io sono e quindi posso permetterà al manager di inquadrare meglio il proprio ruolo e ristabilire l’equilibrio verso i propri obiettivi e risorse.