Le esigenze della forza lavoro in mobilità non sono soddisfatte dalla dotazione IT messa a disposizione dalle aziende per le attività di collaboration e condivisione: Consumerizzazione dell’IT e BYOD (Bring-Your-Own-Device) evidenziano infatti l’urgenza di un adeguamento tecnologico che possa valorizzare le prestazioni e il rendimento dei team virtuali.
PMI.it ne ha discusso con Riccardo Ardemagni, AD Siemens Enterprise Communications Italia.
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I Mobile Workers
L’adozione di strumenti e soluzioni per il Mobile Work potrebbe migliorare e velocizzare da subito la produttività sul lavoro, ma le aziende non sembrano ancora in grado di comprendere appieno come sfruttare questa opportunità.
Oggi la maggior parte dei lavoratori è dotata di dispositivi di ogni genere – dai tablet agli smartphone – ma senza supporti adeguati ad abilitare un vero virtual team aziendale.
Il gap evidenziato da un recente survey condotto da Siemens EC sullo stato dell’arte del Mobile Work, chiarisce Ardemagni, è principalmente culturale, legato ad un modo troppo tradizionale di lavorare. Se le aziende decidessero di adottare soluzioni alternative, dotandosi di processi e sposando approcci organizzativi innovativi, i guadagni prestazionali sarebbero davvero significativi.
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Dove risiede il problema? Sono le persone ancora troppo legate alla fisicità o gli strumenti non ancora adeguati?
In realtà gli strumenti sono già disponibili e perfettamente adeguati. Come spiega Ardemagni, i tempi di adozione “rallentati” rispondono piuttosto ad una peculiarità della cultura europea, soprattutto se paragonata a quella oltreoceano: per le nostre aziende è ancora molto importante essere fisicamente vicini: interagire con chi si ha di fronte, andare a bussare alla porta del capo, tenere la riunione intorno a un tavolo.
Implementazione delle soluzioni
Esaminando i dati del sondaggio Siemens EC, è emerso che la maggior parte delle aziende, pur disponendo di una forza lavoro mobile, delocalizzata e remota, si limita a fornire ai dipendenti un PC portatile, un telefono cellulare e un accesso email. L’optimum sarebbero invece strumenti hardware e software dedicati alla collaboration. I costi non sono irrisori, ma si dovrebbe valutarli in un tempo determinato per comprenderne il ROI.
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Dunque, l’azienda deve in primis valutare la convenienza dell’adozione di soluzioni applicative che rispondano alle richieste di mobilty provenienti dalla forza lavoro.
Solo successivamente si potrà definire ad un piano progressivo di deployment, partendo da un primo approccio focalizzato – dove si concentra maggiormente l’attenzione del management – per poi procedere alla diffusione in azienda. In questo modo si hanno riscontri immediati e si può proseguire con uno sviluppo incrementale.
A fare da apripista sarà il Top Management, unitamente alle HR e alle aree di Business coinvolte tipicamente: Vendite e Servizi. L’uso di soluzioni di Mobile Working in queste divisioni creerà un effetto “volano” sull’intera organizzazione, favorendo la diffusione degli strumenti e creando maggior coinvolgimento.
Ma attenzione: occorre il device giusto per la persona giusta, indipendentemente dalla collocazione gerarchica aziendale: non status symbol, ma strumenti per lavorare meglio, nelle mani di coloro a cui servono realmente. Il piano di deployment servirà soprattutto a identificare chi necessita di cosa.
Le PMI sono ancora indietro nell’adozione di soluzioni di virtual collaboration. Tuttavia, quando la decisione è presa il processo di adozione è generalmente veloce e snello. Fondamentale è il fornitore che funge da consulente, guidando l’azienda nella scelta e nell’intero processo implementativo. Un consiglio: mettere a confronto fornitori diversi e valutare eventuali proposte alternative.
Per rendere il lavoro in mobilità realmente efficace, conclude Ardemagni, bisogna dotare il dipendente di tutte quelle applicazioni che gli consentono di operare come se fosse in azienda.
Talora le imprese sfruttano le tecnologie di proprietà dei dipendenti, non sempre in grado di rispondere alle necessità aziendali. Il BYOD è un fenomeno che bisogna gestire e che più correttamente integra il BTRD (Bring the right device): le aziende dovrebbero investire primariamente in dispositivi mobili propri, da fornire ai dipendenti, con la flessibilità di gestire anche dispositivi esterni. Un’operazione che permetterebbe di ottimizzare le prestazioni, garantendo comunque la necessaria sicurezza dei dati.
Il futuro del lavoro in mobilità
Il futuro porterà probabilmente un’ulteriore evoluzione e il fenomeno del BYOD si estenderà ad altre categorie quali sistema, applicazione, archivio, cloud. La scelta di adottare soluzioni IT sarà sempre più influenzata da utenti e dirigenti delle linee di business, al di fuori del tradizionale dipartimento IT, implicando la necessità di un’attenta gestione delle politiche di centralizzazione, degli standard di sicurezza e del controllo nell’utilizzo di dispositivi e applicazioni connessi alla proliferazione del BYOD.
Siamo tra i Paesi in Europa con la maggior diffusione di smartphone e tablet (al terzo posto con il 31,4% dopo UK e Francia), ma rimaniamo quello con i peggiori ritardi infrastrutturali.
L’agenda digitale è arrivata ad un punto cruciale: nel 2012 è stata carica di promesse ed appuntamenti mancati, e completamente priva di fatti. L’unico “risultato digitale” è stata la conversione in legge del Decreto Crescita 2.0. Nel 2013 l’Agenda dovrà essere subito funzionale, creando le premesse perché possa davvero essere operativa.
Le priorità sono molte, ma è difficile digitalizzare il Paese senza risolvere l’annosa questione della connettività. Tutti devono avere accesso alla banda larga che resta un pre-requisito imprescindibile, subito seguito dal Wi-Fi pubblico.