La crisi globale ha innescato un processo di trasformazione epocale, nel cui vortice si è trovata anche l’industria manifatturiera. Recessione, fragile ripresa e ricaduta hanno creato le condizioni per una pesante ristrutturazione del mondo aziendale analizzata dalla relazione sugli “Scenari Industriali 2012” del Centro Studi Confindustria, che contiene un corposo capitolo dedicato alle PMI.
Manifatturiero in Italia
In Italia resta poco conveniente investire nel manifatturiero per due ragioni:
- bassa redditività con CLUP (costo del lavoro per unità di prodotto) in rialzo,
- carenze nella politica industriale.
La competitività italiana sta scemando, ma il paese difende la leadership mondiale (tessile abbigliamento, cuoio, pelletteria e calzature, meccanica non elettronica e manufatti di base) grazie ad un fenomeno di ristrutturazione dentro i settori e dentro le imprese.
Le strategie messe in atto vertono su integrazione verticale (sviluppo lungo una filiera produttiva), competenza come fattore chiave della competitività e crescita non soltanto dimensionale.
Mercato internazionale
La crisi ha messo il manifatturiero al centro dell’attenzione mondiale perché motore della crescita economica grazie all’innovazione, in stretta correlazione con il PIL.
La ri-specializzazione settoriale è stata però marcata. La quota di Export del Made in Italy legato a moda e design è calata al 13,9% nel 2011, quella dei beni hi-tech ed economie di scala è salita al 66,9%, eccetto pc ed elettrodomestici.
Dove possibile, ci si è rivolti per le vendite all’estero verso i mercati emergenti anche se è faticoso presidiare bacini dinamici ma lontani come Cina e India.
Strategie delle PMI
I mutamenti di strategia sono riscontrabili anche tra le piccole imprese manifatturiere in termini di modelli di business: l’assetto competitivo si modifica in ordine alle dinamiche della domanda e alle competenze, spesso con pesante ri-posizionamento dell’impresa lungo la catena del valore. Le aziende vanno in due direzioni, ridimensionando o rilanciando l’attività:
- Downgrading – riguarda il 40% delle piccole imprese con punte del 70-80% nella meccanica strumentale. L’impresa fa proprio un assetto più semplice riducendo o eliminando strutture non fondamentali (es.: quella commerciale) marchi di prodotto o presidi dei mercati esteri; semplifica il processo produttivo a volte scegliendo di operare in conto terzi se non si regge il confronto sul mercato quando è richiesta maggiore complessità e competenze.
- Upgrading – riguarda il 30% delle imprese e fino al 40-50% nella lavorazione dei metalli e delle plastiche. Le imprese intraprendono un percorso di crescita di organizzazione, strategia, offerta, processi e dimensione. Richiede sfide di mercato impegnative, come il rivolgersi ai mercati esteri sottostando al confronto competitivo internazionale.
Le aziende istradate su un percorso di crescita hanno più difficoltà a consolidare un nuovo assetto sul lungo termine perché devono mostrare capacità di presidio dei mercati internazionali, di gestione dei marchi e della forza commerciale, di coordinamento dei sub-fornitori.
Tuttavia, i modelli di business semplificati comportano un più alto livello di fuoriuscita del mercato. In generale, quindi, spostarsi da un modello all’altro – oltre a rivelare flessibilità e capacità di cambiamento per restare sul mercato – aumenta la probabilità di sopravvivenza.
In questo scenario, la stragrande maggioranza delle piccole imprese ripiegano sulla dimensione locale del mercato di sbocco per trovare un migliore rifugio in un mercato con meno pretese in termini di competenze e lontano da una competizione spietata. Spesso però il persistere della debolezza della domanda interna spinge anche le aziende di piccole dimensioni a cercare sbocchi all’estero.