Il software nelle imprese non è più una novità: tecnicamente ha superato il ruolo di strumento per accresce la competitività aziendale per divenire una sorta di commodity, alla base di qualunque attività: alcune applicazioni sono ormai “strutturali” com i word processor, i fogli di calcolo e la posta elettronica. A svilupparne il vero potenziale è oggi l’utilizzo personalizzato: da commodity ad appliance.
A riflettere su questi concetti già nel 2003 fu Nicolas G.Carr nel noto articolo “IT Doesn’t Matter“, poi ripreso e approfondito in un testo altrettanto interessante: Does IT Matter? Information Technology and the Corrosion of Competitive Advantage.
In un suo recente intervento, Luigi Troiano, docente presso l’Università degli studi del Sannio, ha evidenziato come i margini di investimento industriale da qui ai prossimi anni sono però sempre meno rilevanti: circa l’88% delle aziende non intende incrementare nè mantenere l’attuale livello di investimenti in IT.
Questo perché si suppone che ormai il software di base già ci sia. Peccato che non sia sfruttato al meglio. Molti strumenti in azienda vengono puntualmente sotto-utilizzati: studi di settore hanno per esempio evidenziato come MS Word ed Open Office Write siano utilizzati a meno del 20% delle effettive funzionalità, o come i fogli di calcolo come MS Excel ed Open Office Calc siano impiegati come semplici Data Base.
Non solo: oggi c’è la tendenza a ritenere che nemmeno ERP, CMS o CVS siano in grado di offrire un vantaggio competitivo all’azienda.. per il semplice assunto che tali strumenti siano alla portata di tutti! Eppure non è esattamente così.
Si può obbiettare che l’arretratezza cultural-tecnologica in Italia sia tale da inficiare questa affermazione, soprattutto se associato al “campanilismo aziendale”: conseguenza del ragionamento, l’atomizzazione delle applicazioni. Ogni realtà utilizza strumenti proprietari, realizzati ad hoc con problematiche e conseguenze evidenti: più dell’85% delle aziende italiane – quasi esclusivamente Pmi – sono ai livelli medio-bassi dell’accesso alle tecnologie.
A cosa porta tutto ciò? Le aziende hanno cambiato obiettivi: oggi è necessario riconoscere il mutato scenario e reagire per seguire il diverso target verso cui è orientato. Il software non ha certo fatto il suo tempo, e che i processi e le battaglie su standardizzazione dei formati o sui brevetti non sono storia. Ma se si vuole fare businnes nell’IT occorre adeguarsi.
Da tempo si sente parlare di appliance, ossia applicazioni verticali, mirate alla soluzione di uno specifico aspetto. e per questo personalizzata per il committente. Realizzare un’appliance significa quindi disporre di un hardware ritagliato per la specifica applicazione che dovrà supportare.
Nel mercato Appliance, disporre di sistemi operativi e di codice in cui sia possibile “mettere le mani” senza il rischio di violare brevetti copyright diventa essenziale. Ecco dunque emergere un nuovo mercato, che non si interessa più di come viene realizzata l’applicazione ma solo che questa risponda a specifiche esigenze operative.
Altra parola chiave del momento è embedded, intendendo un set di competenze informatiche quale panacea che risolve ogni futura attività del mondo IT ed ogni appliance. E forse sarà così.
A spingere in questa direzione è la potenza degli odierni elaboratori – proprio come la definisce la Legge di Moore: «Le prestazioni dei processori, e il numero di transistor ad esso relativo, raddoppiano ogni 18 mesi» – che si è rivelata coerente con il parallelo sviluppo hardware.
L’abbattimento dei costi rende oggi poco oneroso disporre di elaboratori dedicati a svolgere funzioni con le migliori perfomance possibili. Ma operare sulle appliance non è immediato: disporre di tecnologie e metodi è solo il primo step.
Realizzare un’appliance significa conoscere il “Dominio di Conoscenza” in cui l’applicazione andrà ad operare. Avere padronanza del Dominio è tutt’altra cosa che disporre degli strumenti necessari a realizzarla!
Oggi si è ancora molto strutturati sull’approccio mirato alle componenti strumentali: occorre invece che i professionisti, che fino a ieri ritenevano di disporre di un bagaglio in grado di rispondere a qualsiasi esigenza, facciano un bagno di umiltà e si adattino a “conoscere” il Dominio in cui l’applicazione andrà ad operare. Pena, il fallimento del progetto.
Il mercato dell’IT, in costante flessione da anni, potrebbe in ultima analisi trovare nuova linfa ponendosi in un’ottica differente: offrire soluzioni mirate alle reali e specifiche esigenze.