Una tematica che ha sempre accompagnato il pensiero economico e su cui teorici e pratici hanno sempre indagato e teorizzato, concerne la ragione per cui esistono le aziende. Sembrerà banale, ma le risposte a questa domanda – perché esistono le aziende? – hanno avuto e rivestono un’importanza cruciale riguardo alle modalità di sviluppo e di organizzazione delle imprese.
Già nel 1937 Ronald Coase, economista inglese, diede una risposta che fece storia nel suo articolo “La natura dell’impresa” : le aziende esistono perché minimizzano i costi di transazione, ovvero i costi connessi all’interazione con gli ambienti e attori di riferimento, siano essi di produzione, di commercializzazione, di fornitura, di sviluppo e innovazione, ecc. Ovvero, internalizzando i processi si risparmia tempo e risorse per gestire complicazioni, negoziazioni, errori, opportunismi, ecc. Quando persone, risorse tecniche e finanziarie sono governate secondo specifici ruoli, responsabilità, modalità operative e di comunicazione prestabiliti e standardizzati per il conseguimento di uno scopo condiviso, si semplificano le interrelazioni e si aumenta l’efficienza nell’utilizzo di risorse scarse.
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Tale argomentazione è stata oggetto di numerose reinterpretazioni e rielaborazioni da parte di molti illustri scienziati dell’economia per validarla, adattarla o confutarla in considerazione degli straordinari sviluppi verificatisi nella transizione alle economie post industriali basate sulla conoscenza e sulle tecnologie dell’informazione (knowledge economy). In queste reinterpretazioni si assume sostanzialmente che, in una libera economia, le forme organizzative d’impresa che sopravvivono sono quelle con benefici superiori ai costi. I costi, che a loro volta sono determinati dalla tecnologia, cambiano nel tempo. Così molti negli anni 50-60 del secolo scorso hanno sostenuto che l’impresa moderna è diventata una forma efficace e dominante di organizzazione dei fattori produttivi in conseguenza della diminuzione dei costi (interni) di produzione per la produzione di massa (economie di scala), insieme al declino dei costi esterni di trasporto e di energia. In tale prospettiva storicamente contingente è comprensibile come una particolare forma organizzativa, l’impresa gerarchica e integrata verticalmente si sia diffusa in virtù di bassi costi tecnologicamente determinati e si sia affermata rispetto ad altre forme. Oggi però i costi di progettazione, i costi di comunicazione e logistici sono in rapido declino e le piattaforme produttive modulari, ovvero disaggregabili, stanno diventando sempre più diffuse per molti prodotti e processi. Questi trend tecnologici, in gran parte esogeni all’impresa, stanno abilitando modelli di business aperti alla collaborazione, praticabili attraverso una più ampia gamma di attività di innovazione e co-sviluppo che non erano possibili prima dell’arrivo di tecnologie come personal computer e Internet. Stiamo assistendo alla diffusione dell’impresa, anche micro, dai confini organizzativi a geometria variabile, permeabili e aperti a forme di collaborazione ed relazioni virtuali con altre imprese, in cui l’innovazione aperta e collaborativa , l’Open Innovation, cresce di importanza relativamente all’innovazione generata internamente alle aziende di produzione. I processi di innovazione gestiti all’interno delle funzioni di R&D, sviluppo prodotti, ecc. non scompariranno, ma ci si aspetta che diventino meno pervasivi, come è stato il caso per la maggior parte del 20° secolo, rispetto all’affermazione di modelli aperti di innovazione collaborativa in molti contesti. Già circa vent’anni fa Bill Joy, co-fondatore della Sun Microsystems, allora una delle società tecnologicamente più avanzate e importanti del mondo, diceva :”Ovunque tu sia, gran parte dei talenti lavorano per qualcun altro”, o per se stessi. La cosiddetta Legge di Joy esprimeva un cambiamento il cui potenziale si sta manifestando oggi in tutta la sua forza dirompente : le aziende gerarchizzate e centralizzate sono incapaci di sfruttare la ricchezza di conoscenze e di diversità diffusa, oggi raggiungibile e collegabile in rete con costi marginali decrescenti o addirittura nulli.
Cosa è l’Open Innovation
L’Open Innovation è un modello di business che si fonda sul riconoscimento che molte idee valide vengono “realizzate” all’esterno delle aziende, e che queste possono nondimeno trarne vantaggio, potenziando le proprie capacità di: i) identificare innovazioni tecnologiche, di prodotto/processo e di mercato al di fuori della propria organizzazione, ii) acquisire tali soluzioni innovative e iii) internalizzare le stesse nei propri processi gestionali e produttivi. Uno dei modelli operativi di Open Innovation è il cd. crowdsourcing di idee e soluzioni innovative attraverso portali dedicati. Si stà affermando una nuova visione su come consentire alle imprese, in particolare alle PMI, tipicamente penalizzate dalla limitata dimensione e capacità di investimento, di accedere a innovazioni tecnologiche in tempi più rapidi e a costi ridotti rispetto a quanto conseguibile dalla tradizionale attività di ricerca e sviluppo (R&S) condotta all’interno di una determinata organizzazione. L’approccio Open Innovation afferma infatti che le imprese possono e devono fare ricorso a idee esterne, così come a quelle interne e accedere con percorsi interni ed esterni ai mercati, se vogliono progredire nelle loro competenze di prodotto, mercato e tecnologiche. Ciò permetterebbe anche di monetizzare il frutto degli investimenti e della propria attività innovativa, massimizzando così il ritorno per tutto il sistema che ruota attorno al mondo della ricerca e dell’innovazione. Attraverso i canali e gli strumenti dell’Open Innovation è possibile sfruttare al meglio le risorse imprenditoriali, l’eccellenza della ricerca e lo spirito di innovazione che caratterizzano il nostro Paese. Se un prodotto di successo come l’iPhone è “Designed in California” ma “Assembled in China”, data la “sete di Italia” che c’è nel mondo, pensare al potenziale successo mondiale di prodotti innovativi “Designed and Made in Italy” è un passo quasi automatico!
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Come funziona l’Open Innovation
Le piattaforme di Open Innovation, soprattutto quando si parla di challenges (restringendo l’ambito della nostra trattazione), consentono la ricerca di soluzioni, normalmente tecnologiche, ma non solo, a problemi che vengono definiti da imprese impegnate nei settori più svariati (lo strumento può essere utilizzato anche da enti pubblici, cosa che negli USA accade dal 2009): dall’agricoltura alle biotecnologie, dall’informatica all’ingegneria, dalla fisica al design, ecc. Le soluzioni innovative selezionate dalle imprese sono poi “premiate” attraverso il conferimento di award in denaro, che può essere conferito in un’unica soluzione o al raggiungimento di determinate milestones. Il trasferimento della proprietà intellettuale avviene automaticamente nel momento in cui la soluzione viene selezionata dall’impresa o ente interessato. Queste regole sono alla base della generalità delle piattaforme che offrono servizi di Open Innovation. In breve, le richieste di soluzioni da parte delle imprese o di enti pubblici vengono pubblicate su dei portali web a cui sono registrati dei “solvers”, cioè individui in grado di offrire le soluzioni innovative richieste. Il portale funge quindi da database di problemi tecnologici e/o di prodotto/processo, in relazione ai quali le aziende (ed enti pubblici) sono disposte a pagare un premio in denaro a fronte delle soluzioni proposte da chiunque sia registrato al portale. Potenzialmente, quindi le soluzioni possono pervenire da ogni individuo che ha accesso a un collegamento Internet. Il modello di Open Innovation qui descritto si interseca con il cd. crowdsourcing (utilizzo delle risorse provenienti dagli individui) e raggiunge quindi il suo massimo potenziale. Il beneficio di poter accedere ad un portale “neutrale” (cioè terzo) cui molte realtà possono partecipare, inoltre, è di mantenere l’anonimato, che, per un’azienda può essere un aspetto fondamentale per mantenere la confidenzialità delle proprie strategie competitive.
In sintesi l’Open Innovation:
- facilita la risoluzione di problemi nell’ambito della ricerca e lo sviluppo, combinando fonti di nuove idee o di soluzioni innovative interne ed esterne;
- riduce i costi di R&D e il time-to-market dei prodotti/servizi, con un evidente vantaggio competitivo, trovando soluzioni innovative attraverso investimenti limitati e a “basso rischio”;
- è una soluzione win-win-win, perchè non solo alimenta un processo dinamico di diffusione della conoscenza, ma unisce il mondo imprenditoriale a quello dei ricercatori, degli esperti e degli appassionati in generale, e sempre più ai consumatori per far si che i prodotti che le imprese sviluppano incontrino le esigenze e i gusti del mercato.
Come sfruttare le risorse dell’Open Innovation
Il più grande problema che le aziende di tutto il mondo devono affrontare è quello legato all’innovazione e all’accelerazione esponenziale che quest’ultima ha avuto negli ultimi decenni. Le grandi aziende hanno compreso da tempo che è impossibile rimanere al passo con il progresso tecnologico con le sole risorse di R&D interne, e da alcuni anni stanno cercando prodotti e processi innovativi al loro esterno.
E’ un dato di fatto che le risorse disponibili all’interno di organizzazioni private e pubbliche sono limitate, al contrario di quello che accade al loro esterno, soprattutto grazie alla rete (entro il 2018, metà della popolazione mondiale sarà connessa ad Internet).[1]
Un tipico esempio di questa carenza di risorse è offerto dalle nostre PMI, che fanno sempre più fatica a stare al passo con la concorrenza. Per loro o per organizzazioni simili, il guadagno di competitività potrebbe essere molto significativo, così come il risparmio di costi. In Europa e in Italia la questione di come colmare questo gap per le PMI è una delle priorità nelle agende dei policy makers. A livello europeo, la Commissione sta dando forte rilievo e impulso alla necessità di promuovere progetti legati all’Open Innovation, riconoscendo l’esistenza di barriere di varia natura, anche finanziaria, all’accesso alle idee innovative, specie da parte delle PMI. Tra i progetti finanziati dalla Commissione europea, nell’ambito del programma Horizon 2020, si segnala ad esempio quello relativo allo sviluppo dell’utilizzo di piattaforme di crowdsourcing, come quelle sopra descritte_, essendo evidente che le imprese hanno difficoltà a trovare ed identificare i propri partners nel campo dell’innovazione. È chiaro tuttavia che si tratta di progetti-pilota e che eventuali iniziative specifiche devono essere attuate a livello nazionale e regionale. A livello nazionale-regionale infatti si tratterebbe di incentivare l’utilizzo delle piattaforme online di Open Innovation da parte delle PMI italiane con misure finalizzate a supportare progetti di innovazione che utilizzino queste piattaforme per reperire soluzioni e competenze per sviluppare la competitività , contribuendo ai costi per la definizione della domanda, l’accesso al servizio e la valutazione dei riscontri ricevuti. Regione Lombardia e, più recentemente, Regione Friuli Venezia Giulia si stanno muovendo in questa direzione, sulla scia anche del credito di imposta introdotto dalla Legge di Stabilità 2015 che prevede un significativo credito di imposta per le imprese che faranno uso della cd. ricerca contrattualizzata.
Proprio nell’ambito delle Regioni italiane, gli strumenti messi a disposizione dall’Open Innovation potrebbero andare a tutto beneficio anche di quelle PMI insediate in aree lontane dalle città, come in aree montane e collinari, che così potrebbero scegliere e introdurre innovazioni a un costo per loro accessibile, senza dover “delocalizzare”, ma rimandendo vicini al territorio di appartenenza, che continuerebbe ad avere la propria vitalità imprenditoriale. Inoltre, l’Open Innovation potrebbe consentire di integrare e valorizzare l’intero ecosistema dell’innovazione, inclusi i numerosi enti di ricerca, i cui prodotti non sono sfruttati adeguatamente attraverso aggregazioni di portafogli brevettuali e competenze. L’Open Innovation consentirebbe anche di dotarsi di uno strumento abilitante le strategie di specializzazione intelligente che le Regioni stanno sviluppando anche con riferimento alle componenti più innovative per lo sviluppo endogeno e l’ attrazione di investimenti. Infine, l’Open Innovation potrebbe anche favorire l’orientamento del sistema finanziario locale e delle emanazioni finanziarie delle Regioni nella allocazione di risorse per la valorizzazione degli asset tangibili e intangibili, potenziali generatori di crescita e sviluppo sostenibile.
A Trieste è nata nel 2014 la start-up innovativa denominata Innoventually, (http://www.innoventually.it) che ad oggi si presenta come unica piattaforma italiana di Open Innovation con visione e partnership operative globali, che vanno dagli Stati uniti al Giappone.
* Paolo Marizza è Adjunct Professor al DEAMS-Università di Trieste e Partner di Financial Innovations; Luca Escoffier, co-fondatore di Innoventually e di Impact HUB Trieste, è Fellow di Stanford-Vienna Transatlantic Technology Forum e Researcher alla Waseda University (Tokyo).