Se nel mondo del lavoro si registrano ancora marcate discriminazioni di genere, a tutto discapito del PIL, è pur vero che esiste un oggettivo problema di competenze nei settori con maggiori potenzialità in termini di impiego e carriera.
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La ricerca NetConsulting “Digital gender gap: valorizzare il talento femminile nel settore tecnologico” ha fotografato la situazione italiana delle donne impegnate in campo tecnologico. Su un campione di 60 aziende, è emersa una carenza di figure femminili con competenze IT (29,2%). Nella maggior parte delle aziende interpellate si registra anche una quota femminile inferiore al 25% in ruoli tecnico-scientifici e un desolante 10% di quote rosa in posizioni apicali.
C’è anche un problema di retribuzioni: diverse professioniste IT in ruoli quadri e dirigenziali (12-16%) dichiarano salari inferiori del 10%.
Il problema è più ampio: nelle nostre università l’interesse per le discipline informatiche si ferma al penultimo posto (6%) e, secondo Michele Lamartina, Ad di CA Technologies Italia, da oggi al 2020 si registrerà un deficit di 825.000 risorse con competenze tecnologiche. Il tutto, con un marcato gap di genere, che comincia già sui banchi di scuola: su 216 studenti, solo il 19% (dati NetConsulting) delle ragazze manifesta preferenze per materie tecnico-scientifiche (quasi la metà dei ragazzi).
Eppure le donne dimostrano attitudini spiccate in termini di soft skill: maggiori capacità di problem solving (75%), multitasking (62,5%), gestione rapporti interpersonali e team working (45,8%). Quasi la metà dei responsabili HR riconosce loro maggior creatività e propensione all’innovazione. In alcune realtà, per fortuna, si comincia a colmare il gap. In Accenture Italia, per esempio, la presenza femminile è in costante crescita (oggi al 32,2%): oltre 3.700 donne, di cui 464 executives. Si punta al 40% di nuove assunte entro il 2017, a conferma di un trend che vede oggi il dato assestarsi su una media del 35%.
Smart working
A cambiare lo scenario potrebbe essere una maggiore diffusione di soluzioni per la conciliazione e di strumenti per il lavoro agile. Le misure per incentivarli sono in discussione in Parlamento, anche se aziende e lavoratori non sembrano neanche conoscere la proposta di legge sullo smart working. Il 25,6% delle aziende lo riterrebbe positivo per la produttività ma il 49% non si reputa pronta, per inadeguatezza dell’infrastruttura tecnologica (survey InfoJobs su 40.000 candidati e 400 imprese).
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Eppure, dal punto di vista dei lavoratori, la flessibilità gioca un ruolo sempre più importante: il 17,5% accetterebbe condizioni economiche meno favorevoli pur di lavorare “smart” mentre il 39,2% – a parità di stipendio – opterebbe per il lavoro da remoto. Una condizione particolarmente appetibile per le donne, spesso schiacciate dagli equilibrismi tra casa-ufficio. Secondo la ricerca condotta da Secretary.it (assistenti di direzione) per Ragosta Hotels Collection, il 78,5% delle lavoratrici si dichiara comunque soddisfatta di responsabilità, autonomia organizzativa e fiducia ricevute sul lavoro. Ma i due terzi richiedono più flessibilità (soprattutto di orario), confronto e comunicazione, per organizzare meglio impegni personali e lavorativi: smart working e volontà di porre le persone al centro restano dunque gli aspetti chiave per la soddisfazione e la produttività dei dipendenti.