Punta sul think different 4.0 Tim Cook, il Ceo di Apple, nel suo discorso di inaugurazione dell’anno Accademico dell’Università Bocconi, offrendo agli studenti la sua “vision” del futuro:
«voi siete non solo cittadini dell’Italia o di altri paesi, ma cittadini del mondo. Usate questa opportunità, alzate la voce. Siete più connessi di qualsiasi altra generazione mai esistita. Per me, questo è incredibilmente interessante», e se riuscirete ad applicare le conoscenze che apprendete qui anche nel business, «per migliorare il mondo e le vite di molte persone, allora riuscirete a creare un mondo migliore di quello che avete trovato».
Un’inaugurazione in grande stile quella della Bocconi, alla presenza del rettore, Andrea Sironi che ha presentato le novità per il nuovo anno accademico (fra le più importanti, una nuova laurea triennale, il Bemacs, in Economia, Management e IT), senza nascondere le piaghe del sistema universitario italiano (che non riesce efficacemente a premiare il merito).
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Tutto intorno, gli studenti, che hanno aspettato Tim Cook davanti all’ingresso dell’aula magna molto numerosi, armati di smartphone, tablet e pc per immortalare l’arrivo di un manager che è stato accolto come le grandi star.
«Neanche per una rockstar o un campione sportivo avremmo avuto un simile intasamento»
commenta il “padrone di casa”, Mario Monti, presidente Bocconi, che poi prosegue:
«Non esiste una vera preparazione per sostituire una leggenda. Ebbene, questo è proprio quelle che deve fare Tim Cook».
Il numero uno di Apple sul palco, esordisce con un semplice “buongiorno” che strappa un moto di consenso nella sala.
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Quindi, il discorso: parte dall’eccellenza italiana nel mondo, sottolinea la differenza fra “making the best”, fare il meglio, e “making the most”, produrre molto. L’Italia è la patria del design e del Made in Italy e dimostra come:
«le grandi idee possano cambiare il mondo».
E’ una filosofia in cui anche Apple crede, e per questo in Italia si sente a casa sua.
Attenzione però: le business school possono essere molto competitive, è vero, ma esiste il lavoro di squadra. Cita la sua esperienza personale negli anni dell’università, con il suo gruppo di studio (un gruppo di amici in cui «abbiamo usato le differenze per diventare più forti»), e conclude: sono contento di aver imparato questa lezione così presto nella vita. Gli ingredienti del successo? Il prodotto, prima di tutto, perchè Apple deve il suo successo a prodotti innovativi che hanno cambiato tutto. Le capacità, che si affinano con la preparazione negli anni dello studio. Ma tutto questo non basta: il titolo del discorso, è “Il business al servizio del bene pubblico“, ed è declinando questo argomento che Cook, di fatto, pur senza citarlo per nome si riferisce alla lezione di Steve Jobs, e anche a uno dei suoi più noti discorsi, pronunciato proprio in un’università, l’americana Stanford (fondata, come la Bocconi, da un padre in memoria di un figlio prematuramente scomparso, come ricorda Mario Monti).
Era il 2005 quando Steve Jobs consigliava agli studenti californiani di restare affamati e visionari (“Stay hungry, stay foolish”). Un insegnamento che non solo dieci anni dopo è ancora attuale, ma che Tim Cook rinnova inserendo nuovi elementi. «Spingete oltre le frontiere», dice Tim Cook agli studenti, consapevoli che oggi non solo i governi, ma anche il mondo del business ha grandi responsabilità nella costruzione della società. «Io sono stato molto fortunato a trovare un’azienda che condivide i miei valori», spiega. Apple punta sulla sostenibilità ambientale, perchè il climate change deve urgentemente entrare nella business agenda, usa energie rinnovabili all’87% e punta al 100%, aiutando in questo senso anche i fornitori cinesi.
Poi parla della privacy, argomento legato in particolare alla diffusione delle nuove tecnologie, su cui la società sta puntando nell’implementazione dei suoi device. Infine, il think different, uno slogan di successo che è diventato l’emblema di un’azienda che, sottolinea Tim Cook, offre uguali opportunità a tutti: «noi accogliamo tutti, indipendentemente da Paese di origine, aspetto, credo religioso, e da chi amano. E lo faremo sempre».
Un discorso dunque che punta sui valori aziendali, che possono cambiare il modo di fare business ma non solo. Valori che contano più che fare un sacco di soldi, aggiunge Tim Cook, che, per chi lo avesse dimenticato, è il Ceo della prima impresa per capitalizzazione del mondo.
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Dunque, sintetizziamo gli ingredienti del successo: l’internazionalizzazione in ottica da cittadini del mondo, il valore delle diversità, l’ambiente, una tecnologia bella (il design), utile (per connettersi con il mondo), attenta alla privacy. Gli elementi su cui punta il nuovo corso di laurea della Bocconi, Bemacs (Bachelor in Economics, Management and Computer Science), un
«programma internazionale rivolto a studenti interessati ad approfondire le dinamiche che guidano l’innovazione, in particolare quelle relative alla digital economy e ai social media, con i loro impatti rivoluzionari per l’economia e la società tutta», spiega il rettore, Andrea Sironi.
La Bocconi si impegna anche ad aumentare le risorse per le borse di studio (portandole da 25 a 30 milioni l’anno entro il 2020), in un paese che secondo Sironi non premia sufficientemente il merito, con un sistema universitario «poco accessibile per i meno abbienti e ingiustificatamente generosa per i più benestanti». E mette a punto anche un piano in 12 punti al 2020 per migliorare l’ateneo (in vista, c’è anche il nuovo campus, nell’area della centrale del Latte).
Gli studenti, la lezione di Cook sembrano averla apprezzata: lo hanno aspettato all’ingresso prima e all’uscita poi (“con che macchina arriva? si chiedevano non tanto per identificarlo quanto per esprimere, subito dopo, una serie di pareri sulle vettura maggiormente adatta al manager di Apple). Hanno ascoltato il discorso, e ne hanno identificato i punti fondamentali: i valori del business che devono ispirare l’azione dello studente prima e dell’imprenditore poi, ma non solo. Riccardo (studente spagnolo) ha apprezzato il punto sul lavoro di squadra, Anna (anche lei, studentessa internazionale, dall’est europeo) prima si scusa per il suo italiano, poi spiega che le paice molto l’idea di «dare un significato al proprio lavoro e fare una cosa oltre».