I fringe benefit rappresentano una risorsa irrinunciabile per i dipendenti e una potente leva di crescita per i datori di lavoro, che inserendoli nel piano welfare aziendale hanno l’opportunità di creare un ambiente di lavoro più produttivo e incentivante.
Componente fondamentale del welfare aziendale, infatti, i fringe benefit vantano un notevole potenziale attrattivo per i nuovi talenti e si caratterizzano per un’ampia versatilità, declinandosi in una vasta gamma di servizi che vanno incontro alle preferenze più disparate.
Questa tipologia di benefit, in particolare, è diventata una voce di spesa welfare sempre più presente nelle imprese, come sottolinea l’Osservatorio Welfare 2024 di Edenred: nel 2023, ad esempio, i fringe benefit hanno catalizzato il 31,8% della spesa complessiva, mostrando una crescita decisamente marcata rispetto al 16,2% del 2017.
Fringe benefit: significato e normativa
Entrando nello specifico dei fringe benefit, il significato è strettamente legato ai benefici che i datori di lavoro possono offrire ai loro dipendenti in aggiunta allo stipendio base. Sono sostanzialmente compensi in natura concessi a discrezione del datore di lavoro e finalizzati a favorire il benessere dei collaboratori, diventando anche un importante strumento di sostegno al reddito delle famiglie.
La normativa relativa ai benefici accessori erogati sotto forma di beni e servizi è dettata dal Codice Civile (nello specifico dall’articolo 2099), ma sono gli stessi contratti aziendali a mettere nero su bianco la disciplina relativa ai fringe benefit che, dal punto di vista fiscale, sono invece regolati dal TUIR. Rientrano tra i più diffusi fringe benefit concessi dai titolari d’impresa ai dipendenti:
- auto aziendale, che rappresenta uno dei fringe benefit più apprezzati dai dipendenti;
- buoni pasto, utilizzabili per acquistare prodotti alimentari o altri articoli secondo quanto previsto dall’esercizio commerciale;
- buoni acquisto o buoni regalo (cartacei o elettronici), come quelli messi a disposizione da Edenred. Un esempio di sostegno concreto al reddito dei lavoratori e delle loro famiglie che risponde sia ai bisogni primari come la spesa o il carburante sia ad altre necessità;
- alcune tipologie di polizze assicurative;
- concessione di prestiti;
- acquisti di azioni societarie (Stock option);
- alloggi messi a disposizione del dipendente.
Perché inserire i fringe benefit in un piano welfare aziendale
I benefit aggiuntivi offerti dalle aziende incrementano la fidelizzazione e rafforzano le relazioni con i collaboratori, migliorando la loro produttività e potenziando la motivazione. Le ricadute sono positive per la stessa immagine aziendale, anche nell’ottica di trattenere i dipendenti più qualificati.
Beneficiando dei fringe benefit assegnati entro il valore previsto dalla normativa fiscale, inoltre, i dipendenti non incorrono in alcuna tassazione ai fini IRPEF e non sono previsti aggravi contributivi ai fini previdenziali. Tra i benefici generati a favore di datori di lavoro, inoltre, un ruolo fondamentale è dato proprio dalle agevolazioni di natura fiscale.
Trattamento fiscale dei fringe benefit
Come anticipato sopra, la normativa fiscale relativa ai fringe benefit è contenuta negli articoli 51 e 95 del TUIR: secondo quest’ultimo, il datore di lavoro può fruire della piena deducibilità dal reddito d’impresa.
La disciplina, tuttavia, è stata oggetto di non pochi interventi soprattutto negli ultimi anni, modifiche mirate ad ampliare la soglia di non imponibilità fiscale e contributiva per sostenere il potere d’acquisto delle retribuzioni.
Con la Legge di Bilancio 2024, infatti, è stata innalzata la soglia di defiscalizzazione relativa ai fringe benefit in deroga a quella ordinaria pari a 258,23 euro stabilita dall’articolo 51: attualmente il limite è pari a 1.000 euro per tutti i lavoratori dipendenti e a 2.000 euro per chi ha figli a carico (compresa la prole nata fuori dal matrimonio e riconosciuta, così come i figli adottivi e in affidamento).
Per il 2024, inoltre, rientrano nella soglia di esenzione dei fringe benefit anche le spese sostenute per l’affitto della prima casa e gli interessi sul mutuo relativo alla prima abitazione.
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