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Pianificazione finanziaria: il business plan

di Michele Moglia

24 Ottobre 2024 10:00

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Business plan: un documento per la banca o per l’imprenditore?

In un periodo come quello attuale, caratterizzato da forti turbolenze di natura economica e geo-politica, il tema della pianificazione finanziaria è diventato sempre più un aspetto cruciale per le aziende e di riflesso, per i loro principali finanziatori, ovvero gli istituti di credito.

L’incremento del costo del denaro da un lato e l’acuirsi delle dinamiche competitive sui mercati internazionali dall’altro, hanno aumentato la consapevolezza del management aziendale sull’importanza di valutare (in ottica preventiva o forward looking) le conseguenze attese delle proprie scelte strategiche ed imprenditoriali, al fine di valutarne l’impatto sul bilancio, sulle dinamiche economico-patrimoniali e finanziarie e non da ultimo sulla sostenibilità del debito aziendale.

Esigenze odierne di pianificazione aziendale

Proprio nell’ottica di valutare la sostenibilità del debito (bancario, operativo e fiscale/tributario) il tema della pianificazione è divenuto cruciale anche nell’alveo del Codice della Crisi di impresa e dell’insolvenza (CCII) ex D.lgs 14/2019, il quale ha introdotto l’obbligo per gli imprenditori di dotarsi dei c.d. “strumenti di adeguato assetto organizzativo” tra i quali all’art. 3 comma 3 paragrafo b) viene annoverata l’esplicita richiesta di “verificare la sostenibilità dei debiti e le prospettive di continuità aziendale almeno per i dodici mesi successivi “ proprio con l’intento di normare ex lege delle best practice di pianificazione che dovrebbero essere di dominio comune nel mondo imprenditoriale.

Ma non è tutto. Le esigenze di pianificazione non sono una prerogativa esclusiva delle imprese, ma anche dei loro principali finanziatori, ovvero gli istituti di credito.

Il mondo bancario già da tempo ha recepito nella propria normativa e nei propri regolamenti (si pensi al principio IFRS 9 o alle linee guida EBA-LOM) la necessità di adottare un approccio forward looking ai fini della valutazione del merito creditizio dei clienti; ciò significa che ai fini della valutazione della sostenibilità dei clienti, sia nella fase di concessione di un prestito, sia nel successivo monitoraggio periodico, il focus ai fini della valutazione del merito creditizio non è più centrato esclusivamente sulle garanzie fornite o sui risultati storici conseguiti, ma è sempre più rivolto ad una valutazione attuale e futura della capacità del cliente di adempiere alle proprie obbligazioni, ponendo conseguentemente “enfasi su una stima realistica e sostenibile del reddito e del flusso di cassa futuro del cliente”.

Il business plan oggi: a cosa serve veramente

Nel contesto di questa duplice esigenza di pianificazione derivante dalle necessità di imprese ed istituti di credito, assume assoluta rilevanza lo strumento del business plan.

Predisporre un business plan significa realizzare un processo di pianificazione di medio/lungo periodo della specifica aziendale, che richiede un’elevata verticalizzazione ed approfondimento, al fine di individuare quali siano le variabili chiave o le assumptions che possano originare il successo (o l’insuccesso) futuro dell’impresa, al fine di simulare gli andamenti attesi delle tre dimensioni dell’analisi dell’impresa, ovvero:

  • La dimensione reddituale, mediante la predisposizione di conti economici prospettici che siano in grado di evidenziare la struttura dei costi (fissi e variabili) attesi dell’impresa oltre ad una stima dei ricavi previsionali.
  • La dimensione patrimoniale, mediante la predisposizione di stati patrimoniali prospettici, che contemplino tra le altre cose gli investimenti previsionali (in attivo fisso ed in capitale circolante) e le relative fonti di finanziamento.
  • La dimensione finanziaria, mediante la predisposizione di rendiconti finanziari prospettici che esprimano il cash flow generato (o assorbito) dalle gestioni aziendali.

Attenzione però. L’attività di business planning non deve ricondursi meramente ad una compilazione di un foglio di calcolo per adempiere il proprio compito ed “accontentare” le banche e gli investitori al fine di ottenere un determinato finanziamento. È ancora molto frequente riscontrare nell’operatività dei business plan che, alla prova della realtà, appaiono come un “libro dei sogni”, conditi da fatturati con tassi di crescita a doppia cifra e marginalità operative completamente scollegate dalla storicità dell’azienda e dalle metriche di settore.

Il business plan dovrà necessariamente essere calato nel contesto macroeconomico sulle dinamiche d’impresa: sarà infatti mai credibile un business plan che non contempli alcun adeguamento di oneri finanziari in ipotesi di tassi crescenti? Potrà essere credibile un business plan che preveda una generale diminuzione dei costi operativi in ipotesi di dinamiche inflazionistiche? Sarà mai realistico un business plan senza la stima della dinamica fiscale?

Molto probabilmente no. In fin dei conti gli stessi istituti di credito dinnanzi a piani reputati “non realistici” o “non credibili” predispongono da sé le proprie proiezioni finanziarie dei clienti, utilizzando le medesime per confutare le proiezioni fornite dai clienti stessi, con il rischio, non essendo del settore, di giungere a conclusioni troppo affrettate.

Come redigere un business plan davvero efficace

Redigere un business plan richiede di effettuare da parte dell’imprenditore una profonda riflessione sullo stato di salute della propria azienda, valutandone i punti di forza e di debolezza, così come le opportunità e le minacce, sia attuali che prospettiche; trattasi a tutti gli effetti di un processo che muove sì dalla direzione aziendale o dal top management, ma coinvolge l’azienda a 360 gradi, interessando ovviamente anche l’area commerciale (la quale ad esempio sarà chiamata a restituirci informazioni in merito agli ordinativi e sul sentiment di mercato e della concorrenza) e la produzione (che dovrà restituirci i vincoli di capacità produttiva).

Si tratta in estrema sintesi di effettuare delle previsioni economiche, patrimoniali e finanziarie in base ad un preciso set di assumptions fondato, ragionato e dimostrabile.

Attenzione però; questo non significa che il business plan debba essere in grado di prevedere il futuro o quello che accadrà tra “n” anni. La pretesa non è certo quella di avere una sfera di cristallo, quanto piuttosto quella di avere a disposizione uno strumento nelle mani dell’imprenditore, che funga da “simulatore di volo” e che sia in grado di restituire informazioni prospettiche al verificarsi (o meno) di determinate ipotesi.

Il business plan è altresì uno strumento utilizzabileal contrario” ovvero è possibile stimare un livello di impegni finanziari e costi fissi per il prossimo futuro e “chiedere” al business plan quale sia il livello di valore della produzione necessario per coprire tali esigenze. In questo ultimo caso si parla di muovere da un business plan revenues driven a un business plan cost driven.

Come reagire quindi dinnanzi all’incertezza che giocoforza grava sul futuro?

Mediante la realizzazione dei c.d. “stress tests” ovvero diverse simulazioni ed analisi di scenario, che possono essere ottenute variando una (o più) assumptions alla base del piano, magari quelle maggiormente soggette a stime o di difficile presidio da parte dell’impresa.

Conclusioni

Giunti alla conclusione, una domanda sembra quindi doverosa: a chi serve il business plan? Alla banca o all’imprenditore?

La risposta corretta è “ad entrambi”, ma in primis certamente all’imprenditore, in quanto deve servire da vero e proprio strumento di gestione e di valutazione delle scelte strategiche aziendali, imponendo molto spesso un “bagno di realtà” dinnanzi a progetti di investimento non sostenibili con le dinamiche prospettiche dell’azienda; se così non fosse, il rischio di scadere nel famigerato “libro dei sogni” risulta molto elevato.