Molti hanno scritto di Change Management, ma è inevitabile che la realtà si discosti dalla teoria. Normalmente, dinanzi a uno scenario di crisi, anche in azienda la prima reazione è rifiuto (“non è possibile”), poi rabbia (“ma proprio a me”), quindi contrattazione (“cosa si può salvare”) e abbattimento (“non sarà più come prima”) e infine rassegnazione all’ineluttabile nuova condizione (“ormai…”).
Un’altra reazione frequente è l’immobilismo, nella speranza (vana) che le cose tornino allo stato originario. La risposta al problema è ovvia: chi accetta il cambiamento e si comporta di conseguenza è destinato al successo.
In ambito progettuale, poi, è abbastanza scontato come l’immobilismo non possa rappresentare una soluzione. Di conseguenza, diviene imperativo introdurre correttivi che consentano, attraverso una transizione il più possibile graduale, il raggiungimento del nuovo obiettivo. È anche evidente come l’attenzione vada posta sui criteri da applicare in fase di transizione. Applicare regole in modo rigido è quasi altrettanto facile che rassegnarsi all’immobilismo. Il difficile è tener conto dell’impatto.
All’interno di un’organizzazione l’approccio avviene in modo strutturato partendo dalla comprensione, in cui le variazioni vengano recepite, analizzate. Il nuovo scenario viene affrontato come se nulla avesse in comune con quello originario, con lo scopo di evitare l’adozione di soluzioni già sviluppate per il precedente disegno, ma che ovviamente risulterebbero obsolete. È in questa fase che si esplica la cosiddetta governance, ovvero le direttive che a vari livelli regolano la gestione dell’azienda stessa.
A questa segue la seconda fase, ossia il momento di progettazione, con la definizione di proposta e piano operativo vero e proprio. Poi, finalmente, si giunge all’esecuzione del progetto così com’è stato ridisegnato.
Tuttavia, è inevitabile che il cambiamento sia contrastato proprio in virtù di quell’immobilismo a cui si accennava poco fa. La resistenza al cambiamento viene teoricamente misurata attraverso una formula detta formula di Gleicher: D x V x F > R, dove:
D = Insoddisfazione (Dissatisfaction)
V = Progettualità (Vision)
F = Passi nella direzione scelta (First Step)
R = Resistenza al cambiamento (Resistence)
La formula conferma che il prodotto delle forze che agiscono in favore del cambiamento deve essere superiore alla resistenza al cambiamento. Tutti gli elementi che in fase di analisi vengono sottoposti a controllo – per valutarne la fattibilità in base ai classici vincoli (tempo e risorse) – rappresentano solo un aspetto del problema. Sappiamo infatti che tra i compiti di un capoprogetto c’è anche la gestione dei conflitti interni al gruppo e che un buon capoprogetto ha doti e carisma per agire in tal senso in modo efficace ma naturale.
=> Come sopravvivere al cambiamento
Dal punto di vista della strategia aziendale, uno degli aspetti che maggiormente viene sottovalutato è la reazione degli individui alle variazioni progettuali. La frustrazione di dover rifare da capo un qualcosa che era già stato realizzato, completato e testato è grande, ma non è paragonabile allo stress prodotto quando – oltre al rifacimento – si impone un cambiamento tecnologico con conseguente formazione (o autoformazione): questo implica infatti la necessità di mettersi in gioco su un terreno sconosciuto, azzerando il grado di esperienza maturata nel tempo a causa del cambiamento.
In definitiva, al di là dei modelli organizzativi e delle strategie aziendali, uno degli aspetti che fondamentali che il management deve valutare è l’impatto sociale che il cambiamento impone. Esistono vari modi per affrontarlo. Sicuramente, i migliori risultati si ottengono con la partecipazione del gruppo alla definizione dei metodi da applicare per elaborare la strategia di transizione che condurrà alla nuova soluzione.
L’abilità consiste nel saper coinvolgere i componenti del gruppo alle fasi decisionali in modo da far comprendere agli stessi le necessità che hanno condotto all’introduzione del cambiamento. Saper trasformare il cambiamento da problema critico a momento di crescita oltre che di innovazione può fare differenza fra e l’insuccesso ed il successo di un progetto.
Se a questo si riesce ad aggiungere una spinta motivazionale positiva e incentivante ai componenti del gruppo, si può ben dire che il management ha lavorato bene a tutti i livelli aziendali.