“Craftsman” ovvero “artigiano”: un lavoratore che si distingue per l’ottima padronanza dei propri strumenti di lavoro, per la cura dedicata alla creazione dei prodotti e per l’abilità nella gestione dei processi lavorativi.
E’ possibile oggi perseguire questo stile di lavoro nel mondo del management?
Richard Sennet, noto sociologo della London School of Economics, indagando le dinamiche della globalizzazione, ha messo in evidenza gli effetti dell’organizzazione del lavoro improntata alla mobilità e flessibilità , e ha riproposto in uno scenario postmoderno, la figura dell’artigiano come risposta agli effetti negativi sulla qualità del lavoro e della vita.
Per Sennet, se i parametri per valutare le performance lavorative sono efficienza e velocità , mobilità e multitasking, allora la maestria di chi lavora, la “craftsmanship“, rischia di svanire.
I continui spostamenti da un’azienda all’altra, e la necessità di acquisire nuove competenze invece che approfondire e affinare quelle possedute, comprometterebbero per i knowledge workers, l’opportunità di fornire un’adeguata qualità del lavoro alla domanda del mercato, ma soprattutto la possibilità di realizzare stili di vita sostenibili.
Sembra che al manager multifunzionale, oggi richiestissimo in molte realtà aziendali, si affiancherà un manager artigiano, capace di trattare il Web e gli strumenti ICT come se fossero lavoro manuale.
E quale ambiente migliore se non le Pmi per ricreare questa mentalità e modalità di lavoro?
Non è un caso se Fredmund Malik, una delle più autorevoli voci del management contemporaneo, parli di “professionismo artigianale” proponendo un manager artigiano dotato di senso pratico, conoscenze approfondite e capacità di svolgere il proprio ruolo nel modo migliore, mantenendo fermo l’obiettivo di perseguire uno stile di vita umano e soddisfacente.
Quale fra le due figure, il manager multifunzionale e il manager artigiano, riuscirà a gestire meglio il lavoro e il proprio tempo nel caos della postmodernità ?