Nei giorni scorsi, leggendo alcune proposte di assunzione, mi sono imbattuto nel termine “proattivo“, tra i principali requisiti indicati dall'azienda proponente.
Non entro nel merito di come un aspirante possa dimostrare di essere proattivo- o a quali test o domande lo si possa sottoporre per valutare il “grado” di proattività – ma non è su questo che intendo puntare l'attenzione.
Il termine lo avevo già incontrato in altre occasioni, ma senza che mi soffermassi più di tanto. Questa volta, invece, la mia innata curiosità , complice un po’ di tempo libero, ha avuto il sopravvento e così sono andato a documentarmi sul termine e sul significato che gli si attribuisce.
Inevitabile cercare e trovare anche i termini “al contorno”. A spulciare tra la documentazione disponibile risulta che esistono tre termini che si contrappongono rappresentando ciascuno tre diversi meccanismi comportamentali e sono: reattivo, preventivo e proattivo.
Vista l'attività propria del mio ruolo professionale, mi è venuto spontaneo chiedermi quale sia l'atteggiamento corretto per chi riveste il ruolo di Project Manager, ma per cercare di cogliere le sfaccettature possibili occorre innanzitutto definire quali siano le differenze tra i termini.
Il caso reattivo è immediato e noto e consiste nel reagire all'evento inatteso che si è verificato in modo adeguato e, laddove possibile, immediato.
Nel secondo caso avere un atteggiamento preventivo significa predisporre procedure e modalità di intervento come contromisura ad un evento che si potrebbe verificare.
Differente la proattività che consiste nel prevedere gli eventi che si potrebbero verificare e invece di predisporre dei modelli di comportamento come nel caso della prevenzione, si modificano le modalità operative o le attività in modo da non subire alcuna influenza dagli eventi previsti.
Riassumendo: azione reattiva significa non avere controllo sugli eventi; azione preventiva significa avere il controllo degli eventi che si verificano; azione proattiva significa prevedere ed anticipare gli eventi.
Veniamo al quesito alla base della dissertazione: qual è l'atteggiamento adeguato per un Project Manager? La risposta parrebbe estremamente ovvia: il PM perfetto deve essere proattivo.
Tuttavia, non sono del tutto in accordo con questa affermazione, o meglio, prima di fornire una risposta alla domanda, è il caso di analizzare cosa significa intervenire in uno o nell'altro modo.
Innanzitutto, supponendo di poter scegliere quale comportamento tenere, quali sono i fattori che inducono di adottare un criterio piuttosto di un altro?
Partiamo dal fondo.
Operare in modalità proattiva comporta l'essere in grado di prevedere i possibili scenari che si possono prefigurare durante l'evoluzione del progetto. Su progetti di piccole dimensioni e di breve durata la cosa appare fattibile. Prevedere imprevisti ed evoluzioni è parte integrante del ruolo del Project Manager.
L'approccio preventivo invece consente di affrontare le diverse situazioni con la tranquillità di chi ha già la soluzione e quindi è in grado di intervenire in modo rapido e conosciuto, ovvero con una risposta di cui si conoscono i tempi di attuazione ed i costi derivanti.
La seconda modalità ha il pregio di fornire un panorama tranquillo dell'evoluzione delle attività e quindi offrire una visione di un progetto che “naviga” in acque tranquille. Questo ha un costo, in quanto predisporre procedure di intervento significa formalizzare gli eventi in modo da poter descrivere con lo stesso rigore i modi di intervento.
Questa tranquillità può essere solo apparente ed introduce l'aspetto inquietante (mi si passi il termine) dell'approccio preventivo ma anche di quello proattivo.
Ma quando si verifica un evento non preventivato o non previsto l'unico criterio che rimane è quello reattivo!
Questo non significa certo che non valga la pena dedicare tempo ad una previsione di cosa potrà accadere durante il ciclo di vita del progetto, per il solo fatto che non è possibile prevedere tutte le possibili varianti o perché è anti-economico predisporre le procedure per tutti i possibili eventi. Nessuno si sognerebbe di andare in macchina privo della ruota di scorta per il solo fatto che questo non risolve un problema ai freni.
Essere in grado di avere una visione lungimirante, e disporre di un insieme di procedure adeguate agli eventi di cui conseguentemente si ha il controllo, è sicuramente positivo. Tuttavia, fasciarsi la testa per ogni possibile evento è una soluzione che può sconfinare nella patologia dell'ossessione, ed è meglio evitare.
Invece, saper reagire prontamente a quegli eventi che inevitabilmente si possono presentare in modo del tutto inaspettato, valutando velocemente le conseguenze e le differenti soluzioni praticabili e scegliendo quella migliore senza cedere al pessimismo, al catastrofismo o peggio al panico, è innegabilmente una dote a cui non è pensabile rinunciare.
Al di là di essere preventivi o proattivi, ritengo una dote indispensabile del Project Manager, unita a tutte le altre che già costituiscono il bagaglio di questa professione – e tra queste unisco sicuramente quanto indicato da Stefano Besana e da Simona Caracciolo in due recenti post apparsi sul nostro Blog – è il disporre di nervi saldi, dal momento che questa caratteristica, tutt’altro che consueta, ne fa un leader carismatico ed aumenta quella capacità di “trascinare” il gruppo di progetto che è fondamentale per il successo dell’attività .
Il PM deve quindi essere (anche) reattivo in modo appropriato quando la prevenzione e la preveggenza falliscono.