Competenze ICT: dilemmi e possibili soluzioni

di Mario Massarotti

Pubblicato 9 Maggio 2008
Aggiornato 12 Febbraio 2018 20:37

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Dopo aver affrontato nelle scorse settimane il complesso tema delle competenze ICT in ambito Pmi, torniamo oggi a parlarne, e stavolta alla luce di nuovi dati.

Nel 2007, il 30% delle medie imprese (con oltre 249 addetti) ha dichiarato di aver assunto o provato ad assumere personale non specialistico per la gestione tecnica dell’ICT aziendale.
Quanto al reperimento di risorse umane specializzate, sia per le aziende di queste dimensioni che per le piccole imprese (con meno di 50 addetti), la percentuale di quelle interessate a nuove assunzioni o collaborazioni si riduce sia pure di pochissimi punti.

Le crescenti difficoltà  ad assumere una figura di questo genere sono indubbie, naturalmente, soprattutto in proporzione alla diminuzione delle dimensioni aziendali. Tra le cause di scarso riscontro nel reperimento di personale, un’impresa su quattro lamenta mancanza di esperienza, di qualifiche o di candidati e il 13,5% ha ricevuto richieste salariali troppo alte.

Detto questo, e attribuendo alle statistiche la giusta e ponderata attendibilità  (perché si tratta pur sempre di dati generali e non misurabili caso per caso), la ricerca e la selezione del personale – specie se indirizzato a figure con una preparazione tecnica avanzata – è un affare tutt’altro che semplice, anche se qualcosa bisognerà  pur fare.

L’ICT è materia logica, non certo umanistica e astratta, ecco perché le aziende sono tanto preoccupate per l’affidabilità  e la resa del personale da impiegare. In ogni caso, molte di esse dovrebbero abbandonare la pretesa che “prima o poi qualcuno arriverà  e farà  proprio tutto senza infastidire nessuno di noi”.

Questo assunto, purtroppo, è all’origine di un grosso problema: l'incerta e confusa definizione di ruoli che si manifesta “ab origine” e che impedisce perfino di puntare il binocolo sul mercato degli aspiranti all’impiego.

A dimostrazione di questa tesi, trovo la non qualità  degli stessi annunci di lavoro: chi accetta di consultarli deve leggerli almeno due volte, perché spesso presentano formule ambigue e confuse sulla figura ricercata.

Le aziende hanno troppa fretta di colmare il posto vacante e trascurano i tre parametri di riferimento fondamentali: chi cercare, per quale ruolo specifico (almeno per iniziare) e con quale futuro professionale.

“Chi” cercare non dovrebbe essere un compito difficile perché non c'è relazione diretta tra titolo di studio e abilità . L’azienda dovrebbe fermarsi a riflettere su “cosa manca” per cui si richiede un nuovo profilo.
Senza obiettività  non è possibile formulare nessun annuncio né gestire adeguatamente il personale una volta inserito. Nulla da stupirsi se, dunque, si presenta chiunque, perfino chi pensa di valere più di quanto pesa. Inoltre, se l’azienda assicura un percorso formativo e di affiancamento adeguati ed efficaci, le persone di buona volontà  si misureranno ben volentieri.

Il terzo requisito focalizza sulla carriera. Un’azienda che punta in alto e che sa creare vantaggi competitivi sul mercato sa bene che deve coltivare il suo giardino e renderlo desiderabile. Quali sono le piante di questo giardino se non i collaboratori che lavorano per la mission e i prodotti finali di valore?

Ciò dovrebbe spingere verso una consapevolezza diversa: le imprese dovrebbero investire maggiormente sulla valorizzazione delle risorse umane mediante la cultura degli obiettivi, la capacità  di rendere autonomi e responsabili i dipendenti e, non ultimo, l’incentivazione economica legata ai risultati.
Se non doni ai tuoi futuri dipendenti la sensazione di essere ben motivati, quali pretese hai…!?